Ieri, anche se Kerry ha comunicato ai palestinesi che gli Usa porranno il veto alla loro richiesta all’Onu di porre un termine all’occupazione israeliana e alla realizzazione dello Stato di Palestina, per Israele è stata una giornata di fuoco che ha reso furioso, l’«ego maniaco» (chiamato cosi da un alto dirigente dello Shin Bet, i servizi segreti) Bibi Netanyahu, che per nascondersi dalle sue attuali responsabilità, dopo Margine protettivo a Gaza e per l’occupazione e le nuove colonie nei Territori palestinesi, non trova niente di meglio che accusare l’Europa – che blandamente riconosce lo Stato di Palestina – delle responsabilità dell’Olocausto.

Ora teme che i ministri del suo governo che vivono nelle colonie, visto che i governi dell’Ue dichiarano illegali tutte le colonie, potrebbero vedersi rifiutare il visto di entrata in Europa. A rendere comunque furioso il premier tre fatti. Il primo, che il Parlamento europeo, considerando che l’Onu ha deciso il 29 Novembre 2012 di accettare la Palestina con lo status di Osservatore, ribadisce nella risoluzione votata ieri a Strasburgo a grande maggioranza che i paesi Ue devono trovare un accordo in tal senso e che il Parlamento europeo «riconosce in principio lo Stato di Palestina che vada di pari passo con lo sviluppo dei colloqui di pace». Risoluzione di compromesso tra i maggiori gruppi politici alcuni dei quali, nella sinistra, chiedevano una dichiarazione di riconoscimento senza legami con i negoziati, formula invece cara alla nostra Alta Rappresentante per le relazioni Estere, Federica Mogherini.

Quando il giorno prima del voto alcuni parlamentari mi avevano inviato la risoluzione, memori della mia attività di vicepresidente dell’Europarlamento. Avevo chiesto loro di presentare almeno un emendamento che togliesse il collegamento con i negoziati. Niente da fare. Ma, malgrado i limiti, il voto nel linguaggio diplomatico manda un segnale chiaro: Israele sta tirando troppo la corda ed anche i pavidi paesi europei, costantemente preda del ricatto israeliano e dalla fedeltà alle alleanze geopolitiche, faticano a continuare ad essere complici della colonizzazione israeliana ed a permettere ogni tipo di violazione del diritti umani. Le linee guida per impedire che i prodotti delle colonie si avvalgono delle facilitazioni previste dagli accordi di associazione tra Ue e Israele, sono un indicatore in questa direzione. Il secondo motivo di furia per Netanyahu, la decisione della Corte di Giustizia europea di depennare Hamas anche se per motivi tecnici e procedurali dalla lista nera delle organizzazioni terroriste, decisione alla quale la nostra Alta Rappresentante intimidita dalla sfuriata di Netanyahu, ha subito dichiarato che la politica Ue non cambia, non si libereranno i fondi di Hamas in Europa e si continuerà con il boicottaggio di Hamas anche se poi nella pratica l’Ue sostiene il governo di Unità nazionale palestinese (Fatah-Hamas)

Terzo motivo di rabbia per «Bibi», l’approvazione alla IV Convenzione di Ginevra convocata a Ginevra dalla Svizzera, che ha resistito alle pressioni israeliane ed Usa perché non tenesse l’incontro, dove invece 126 paesi su 196 hanno approvato una risoluzione che in 10 punti denuncia la costruzione di insediamenti in Cisgiordania ed a Gerusalemme Est e dichiara: «Tutte le serie violazioni della legge umanitaria internazionale devono essere indagate e tutti i responsabili devono essere portati davanti alla giustizia». Segnali di cambiamento, ma troppo lenti per la Palestina dove ogni giorno vengono uccisi giovani ai checkpoint, e proprio ieri Israele attivava due basi militari nei territori occupati. Riconoscere lo Stato di Palestina, uno stato che non c’è perché mangiato dalla colonizzazione, non è la fine dell’occupazione militare, ma è certo un passo positivo. Nel futuro i palestinesi liberi dall’ occupazione militare potranno decidere se vogliono uno stato, nessuno stato, due stati sulla Palestina storica. Per adesso la partita è: si riconosca lo Stato di Palestina e si attui verso Israele una politica di sanzioni e disinvestimento a partire dalla sospensione dell’Accordo di Associazione Ue-Israele.