Sul governo doveva splendere il sole dei dati Istat sul Pil allo 0,2% e un aumento congiunturale del lavoro dipendente a marzo pari a 44 mila unità, mentre ieri in trasferta per il Forum economico italo-tunisino è andata in scena una commedia degli equivoci tra il presidente del consiglio Conte e i suoi vice Di Maio e Salvini, tutti e tre a Tunisi.

Commentando le stime congiunturali il primo ha detto «Non è il momento di parlare di riforma fiscale, la vogliamo fare ma nei prossimi mesi abbiamo una manovra da affrontare». Così Conte ha risposto a un precedente assolo del suo ministro dell’Interno, e capo della Lega, Salvini secondo il quale i dati sulla stagnazione dell’Istat sarebbero invece «impongono al governo una doverosa e sostanziale riduzione delle tasse. È obbligatorio realizzare al più presto la flat tax come da contratto di governo, senza dubbi o ritardi». Considerato il tono perentorio, e per evitare un incidente politico non proprio di piccolo cabotaggio, Conte si è affrettato a precisare che le sue parole pronunciate in conferenza stampa sarebbero state interpretate in modo «fuorviante».

E sono «inequivocabili», cioè il contrario: «La riforma fiscale va fatta, è un obiettivo di tutto il governo, punto qualificante del contratto», ma l’occasione non potrà che essere rinviata alla discussione in autunno della prossima manovra economica.

Con quali risorse, con quali tagli e con quali privatizzazioni e dismissioni (18 miliardi di euro sarebbero previsti in un anno), per non parlare dei 23 miliardi di euro di clausole di salvaguardia dell’Iva, non è dato sapere. Tutto è rinviato a dopo le europee e l’estate. A complicare un quadro non proprio chiaro è intervenuto Di Maio secondo il quale «la flat tax? Per me va bene, ma sia chiaro che non si fa nulla aumentando l’Iva».

In realtà i Cinque Stelle non intendono la «flat tax» nello stesso modo dei leghisti. Dentro questo nome ci sono almeno due versioni opposte, se non di più. Ma in attesa che i contendenti si mettano d’accordo sulla misura, e trovino i fondi per finanziarla, resta da capire se i dati della crescita rappresentata dall’Istat «in una fase di sostanziale ristagno» potranno mai giustificare l’esborso di una cifra che oscilla tra una stima di 12 a una di 15 miliardi di euro senza un aumento del deficit superiore a quello stimato del 2,4% del Pil (la legge di bilancio lo ha fissato cinque mesi fa al 2,04%). Queste alchimie contabili sfumano nella speranza di Lega e Cinque Stelle che le elezioni del 26 maggio porteranno a un cambiamento della maggioranza nel parlamento Ue tale da risparmiarli dal patto dell’austerità. L’attesa di una simile redenzione potrebbe rivelarsi illusoria