Dopo Le Siège de Corinte, al Rossini Opera Festival di Pesaro è la volta del melodramma giocoso La pietra del paragone. L’allestimento riprende quello proposto nel 2002 da Pier Luigi Pizzi al vecchio Palafestival e lo adatta al più ampio spazio scenico dell’Adriatic Arena. Assieme alle scene è stata revisionata anche l’edizione critica della partitura, predisposta quindici anni fa da Patricia B. Brauner e Anders Wiklund per la Fondazione Rossini: l’intervento principale riguarda l’orchestrazione, limitata agli strumenti indicati da Rossini nell’autografo Ricordi e depurata dalle aggiunte degli «spartitini» apocrifi.

Come per Le Siège, anche per La pietra il pubblico pesarese ha avuto il privilegio di assistere a una vera e propria rinascita, che ci ricorda una volta ancora il merito peculiare del ROF, attento a presentarsi non solo come una kermesse di spettacoli, ma anche come un cantiere di inesausta ricerca filologica.Quando, dopo il grande successo de L’inganno felice a Venezia nel gennaio 1812, l’impresario della Scala commissionò a Rossini appena ventenne per settembre dello stesso anno La pietra, egli aveva alle spalle solo due opere serie, un’opera comica e due farse, ed era al primo cimento in un grande teatro. Il successo dell’esordiente, già a un buon punto nel perfezionamento della sua formula aurea di drammaturgia musicale e certamente avvantaggiato dalla satira a tratti irresistibile della nuova borghesia abbozzata dal libretto di Luigi Romanelli, fu tale da spazzare via le altre opere in cartellone e da spingere il severo Stendhal a decretare iperbolicamente l’opera il «capolavoro di Rossini nel genere buffo».

Il giovane Daniele Rustioni dirige con grande esultanza l’ottima Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e il Coro del Teatro Ventidio Basso, ottenendo un duplice effetto: alcune scene prendono vita ed energia dal suo entusiasmo, altre rischiano di andare un po’ fuori controllo, anche per l’acerbità di alcuni componenti del cast, che va comunque lodato nella sua interezza per coraggio e generosità.
Si impigliano nelle dinamiche ardite e nelle colorature acrobatiche l’esordiente Gianluca Margheri e l’esordita Aya Wakizono, l’uno con evidenti limiti nel registro acuti, l’altra nel grave: del resto i due ruoli di basso con estensione baritonale e contralto con estensione sopranile, scritti per fuoriclasse dell’epoca come Filippo Galli e Maria Marcolini, metterebbero in difficoltà la maggior parte dei cantanti.

Perfettamente a fuoco sia da un punto di vista vocale che scenico Maxim Mironov, Davide Luciano e l’irresistibile Paolo Bordogna.
DivertentiWilliam Corrò, Aurora Faggioli e Marina Monzó. L’allestimento di Pizzi riempie una cornice architettonica minimalista stile Fire Island con coloratissimi costumi anni Settanta e corpi maschili seminudi a bordo piscina, attingendo a man bassa a un immaginario queer/camp che irretisce il pubblico, nonostante o forse proprio per la facilità e la maniera di certe trovate.