Nel 2010 i filmmakers newyorkesi Henry Joost e Ariel Schulman crearono un caso, in parte teorico (sui confini del documentario) al Sundance Film Festival con Catfish, un astuto ibrido di cinema verità e pura manipolazione a partire dalla storia dell’incontro, via Facebook, tra un loro amico e una geniale pittrice di otto anni. Da Catfish, MTV trasse anche una serie di reality tv.
La stessa affinità elettiva con i nuovi media, più un tocco di nichilismo generazionale, un gusto per la sveltezza notturna e sexy del teen-cinema anni settanta, una buona dose d’amore per New York sono gli ingredienti vincenti di Nerve. Battle Royale incontra Tutto in una notte con un tocco di Before Sunrise in questo thriller basato su un immaginario gioco mortale a cui si partecipa via internet. Una versione da circo romano di Pokemon Go in cui ogni partita dura 24 ore e i premi crescono proporzionatamente ai rischi.

Vee (Emma Roberts), una liceale timida a studiosa del più sfigato dei borough newyorkesi, Staten Island, sogna -contro la volontà della sua stanchissima madre, Juliette Lewis – di andare a studiare fotografia al California Institute of the Arts. Invece, attirata dalla sua migliore amica Syd, viene risucchiata da Nerve, un gioco ad eliminazione progressiva diviso tra giocatori e spettatori, in cui i primi, a beneficio dell’audience virtuale dei secondi e dei loro desideri, vengono sfidati a compiere imprese sempre più difficili e pericolose. In cambio, ad ogni task soddisfatto, sul loro contro in banca arrivano dei soldi, in tempo reale. E, ancor più importante, in una realtà dominata dai social, gli indici di popolarità vanno alle stelle.

All’inizio, le sfide sono semplici, quasi banali -entrare in una caffetteria e baciare un perfetto sconosciuto – e l’audience fatta di pochi amici intimi. Ma, poco a poco, Vee – che scopre in sé una competitività inaspettata – dall’isola sonnacchiosa di Staten Island si sposta in quella molto più glamour e densa di pericoli di Manhattan, in compagnia di un altro concorrente, il centauro in cuoio (molto bad boy) Ian (Dave Franco) con cui deve, per esempio, rubare degli abiti dai grandi magazzini di lusso Bergdorf and Goodman o sfrecciare ai 70 chilometri all’ora bendata, su Park Avenue.

Online i fan si sono moltiplicati e vogliono «sangue» – come in una versione non fantasy e non sentimentale di Hunger Games, amiche a amanti diventano i tuoi peggiori avversari.
Con uso abile della suspense, degli asfalti lucidi e delle luci notturne della città, e del sex appeal delle sue star, Schulman e Joost (anche dietro a due dei film della serie Paranormal Activities) confezionano un cautionary tale senza predica, che mette in guardia contro l’esibizionismo sfrenato, la depersonalizzazione e lo scollamento dalla realtà che permea parte dell’esperienza online, evocando così un allure da exploitation «impegnata» come quella predicata da Roger Corman.
Niente di eccezionale ma intelligente, divertente e riuscito. Di film così una volta ce n’erano tanti. Oggi sono rarissimi.