Nel segno dell’incompiuto, tipico del «Paradosso Welles», lo scandalo sudamericano è uno dei capitoli più inquietanti della strepitosa intervista-fiume senza sconti di Peter Bogdanovich, ora riproposta dal Saggiatore col titolo «Il cinema secondo Orson Welles» e una nuova introduzione (pp. 620, euro 26,00). Sarà vero o no che il flop del film brasiliano intitolato «It’a All True» è la causa di tutti i guai della sua carriera? Orson non ha dubbi, la grande rimozione per cui il maggior regista americano del Novecento finirà con l’essere tenuto per sempre lontano dagli Studios, comincia proprio con la disavventura sudamericana.
IL BRASILE
Tutto ha inizio nell’ottobre del ’41, quando sul set di «L’orgoglio degli Amberson», il suo secondo lungometraggio, viene contattato dall’Office of Coordinators of Latin American Affairs che gli chiede di realizzare un film in Brasile per promuovere le buone relazioni tra i due paesi e riaffermare la presenza degli Stati Uniti in un continente in cui il nazismo aveva seguito. La stessa Rko non è contraria, anche perché l’Office si impegna a finanziare almeno in parte il progetto. All’inizio del 1942, concluse le riprese, non ha più alibi e non riesce a rimandare oltre la partenza. Orson Welles, visiting director ma anche ambasciatore culturale, arriva a Rio giusto in tempo per filmare in Technicolor il carnevale, a cui il governo brasiliano tiene moltissimo. Il progetto originario, che prevedeva addirittura tre film, alla fine diventa un solo film in tre episodi.
LE FAVELAS
Decisiva la scoperta della samba, di cui Welles s’innamora fino al punto da dedicarle una parte rilevante, destinata a ripercorrere la storia, le origini, i ritmi di una musica popolare dalla forte sensualità. Ma quando comincia a filmare nelle favelas, in cui è nata la samba, il governo brasiliano si accorge che il progetto si sta allontanando sempre più dai limiti turistici in cui aveva sperato di contenerlo. L’altro episodio su cui punta molto è la ricostruzione del viaggio dei quattro jangadeiros che, sfruttati dagli intermediari cui vendono il pesce, affrontano il viaggio da Fortaleza, nell’estremo Nord, fino a Rio a bordo delle jangade, le zattere fatte di sei tronchi e una vela, un viaggio eccezionale lungo l’intero paese, alla fine del quale sono per tutti degli eroi popolari. Il presidente brasiliano è costretto a riceverli e a soddisfare le loro richieste.
CAMBIAMENTI
AL VERTICE
Alla Rko è tempo di bilanci, alimentato dai pettegolezzi sulle stravaganze del regista in trasferta. Ci si accorge che i budget di «L’orgoglio degli Amberson» e di «It’s All True» sono stati ampiamente superati. Le prime riprese del carnevale di Rio inviate a Hollywood – un dirigente della casa di produzione le definisce «un mucchio di selvaggi che saltano su e giù» – non fanno che aumentare le perplessità e accelerare i cambiamenti al vertice ormai nell’aria.
Quando in una tempestosa riunione notturna salta anche George Schaefer, il capo dello Studio che aveva voluto Orson a Hollywood, l’impresa sudamericana è definitivamente cancellata. Welles è richiamato dal Brasile con la troupe. Ma un gruppo di fedelissimi, formato dal producer Richard Wilson, un operatore e un paio di tecnici, invece di ritornare a Hollywood, rimane con il regista. I pochi soldi ancora disponibili serviranno a filmare per altri due mesi il viaggio dei pescatori, ma senza riuscire mai a vedere il materiale girato.
IT’S ALL TRUE
Soltanto nel 1993, otto anni dopo la morte dell’autore, «It’s All True» appare miracolosamente sullo schermo del New York Film Festival. Il materiale, ritrovato grazie a una serie di circostanze fortuite, è stato pazientemente montato da Richard Wilson, Bill Krohn e Myron Meisel.
Si tratta di un film straordinario, in cui il grande illusionista s’incontra con lo scenario incandescente della realtà, con l’avventura umana dei pescatori più poveri del mondo, un’opera emozionante, tra Flaherty e Lévi-Strauss, che nella sua apertura antropologica alle culture di un altro mondo, non ha precedenti nella storia del cinema mondiale.
Certo, i costi – umani e artistici – sono stati altissimi. Senza dimenticare la campagna denigratoria che senza riuscirci aveva cercato di bloccare «Quarto potere», il flop di «L’orgoglio degli Amberson» e il totale fallimento di «It’s All True» alimentano la leggenda iettatoria del genio irresponsabile che non rispetta i budget e lascia i film a metà. Nessuna major gli darà mai più carta bianca.