Il nome è di quelli che hanno conquistato ormai uno spazio importante nell’attenzione internazionale: Oro verde – C’era una volta in Colombia (che ha esordito l’anno scorso alla Quinzaine) è firmato infatti da Ciro Guerra, il regista di L’abbraccio del serpente, presentato sempre alla Quinzaine nel 2015, che è stato il primo lungometraggio colombiano a ottenere la nomination agli Oscar per il miglior film in lingua straniera. Guerra, che nel frattempo ha ultimato le riprese di un film hollywoodiano Waiting for the Barbarians con Mark Rylance e Robert Pattison (tratto dal romanzo omonimo di J. M. Coetzee), nella co-regia insieme alla moglie e produttrice Cristina Gallego crea un universo in cui convivono i gesti ancestrali delle culture indigene colombiane e un immaginario da gangster movie americano alla Scarface (Scorsese sempre nume tutelare).

LA STORIA segue ascesa e caduta di Rafa tra il Sessantotto e gli anni Ottanta, un giovane che appartiene alla comunità dei Waayu; innamorato della cugina Zaida per mettere insieme la dote enorme chiesta dalla madre Ursula, capo riconosciuto e temuto della famiglia per la sua capacità di leggere i sogni, inizia un traffico di marijuana insieme al suo migliore amico, Moises, nero e di lingua spagnola. Ma quella che sembra un’attività momentanea diviene un vero business oltre confine coi «gringos» che pagano bene e vogliono sempre di più. Rafa diventa sempre più ricco e così la famiglia tra violente rotture, tradimenti, morti che non gli danno pace, un nipote biondo e pazzo che scatenerà l’inferno con il clan rivale ma sempre parente, lo zio che lo aveva aiutato all’inizio e che sarà il suo peggior nemico.

I capitoli che punteggiano la narrazione, e percorrono diversi anni annunciano la progressione di una tragedia quasi classica il cui incedere verso la catastrofe è inevitabile. Più che la nascita di un cartello della droga in quello che sembra almeno all’inizio un film quasi antropologico, Guerra e Gallego si concentrano sulle conseguenze profonde di una economia che annulla il territorio e coloro che vi abitano nella violenza e prima ancora nella consapevolezza di sé. Il narcotraffico non è altro che una delle forme del colonialismo politico, culturale, economico che segna la Colombia come la storia dell’intera America latina.

C’È UNA SEQUENZA molto bella, all’inizio del film, una danza rituale in cui Zaida sfida gli uomini, il ragazzino Leonidas, e poi Rafa che alla fine le dice: «Sarai mia moglie». I piedi si rincorrono veloci, non sbagliano un centimetro, il velo arancio della ragazza la circonda, la rende invincibile. Anche lei sa leggere i sogni che sono l’anima come le ha insegnato Ursula. La quale nella ricchezza perderà il contatto con questa parte di sé, rimanendo isolata all’interno della sua comunità, i saggi non vogliono entrare in una guerra che non gli appartiene e che ha offeso il legame con la loro Storia.
La lingua del film è il Waayu mischiato allo spagnolo, anche questo è un segno di memoria, e all’inglese dei biondi americani un po’ hippy che predicano contro il comunismo nel 68 e cercano solo l’erba per essere felici. «La loro felicità» sentenzia Rafa.

NELLA «BONANZA», la prosperità, uno dei capitoli prima della guerra, la casa familiare è diventata una villa in mezzo al nulla, pacchiana come quelle dei gangster nei film di serie b, lo zio rivale ha la piscina e uomini armati ovunque, la bella figlia è la sua cosa più preziosa, Leonidas la distrugge è impossibile non cercare vendetta. Come tenere insieme una narrazione che unisce universi in apparenza così lontani? Guerra utilizza il «genere», il gangster movie soprattutto, per restituire la realtà e le sue crepe, processi antichi e moderni, la perdita di qualcosa di prezioso, un modo di stare al mondo che permette la sopravvivenza dei suoi personaggi. È nell’immaginario, terreno di libertà e di sperimentazione che attraversano il loro film, che i registi spostano questa parabola di grandezza e decadenza quello «straniero» ma anche quello che appartiene a Ursula Rafa e agli altri, il loro terreno dei sogni che sono la vita. Un bene prezioso facilmente dissipabile.