Nella lastra fotografica, realizzata da Gegè Primoli nell’ottobre del 1894 nella casa veneziana di Eleonora Duse, ritroviamo la donna e l’artista nel riflesso della concezione che presiede alla sobria disposizione e alla selezionata, scabra scelta dei pochi arredi.

Alle bianche pareti solo una tavola del Quattrocento, una Madonna adorante il bambino e due angeli, opera di Bernardino Fungai.

La figura di Eleonora, che legge su una chaise-longue di vimini, acquista la medesima assolutezza della collocazione del dipinto, si scioglie in una sorta di speciale Conversation piece.

In quella casa ed in quei giorni avviene l’incontro tra Duse e D’Annunzio. L’amore che prenderà Eleonora, la persuade, alcun tempo dopo, ad allestirsi una residenza a Settignano, vicino alla Capponcina, la villa abitata, dal 1898 al 1910, dal poeta.

«Una breve viottolina, finemente inghiaiata e sempre sommersa nell’ombra, – scrive Benigno Palmerio (Con d’Annunzio alla Capponcina, Firenze, Vallecchi, 1938) – si dipartiva da la Capponcina e rasentando il muro di cinta raggiungeva un cancellino sboccante su la strada che da quel punto scende ripida al piano.

Da questo cancellino, attraversando la strada, dopo breve tratto si giungeva alla villetta che Eleonora Duse aveva preso in affitto e che Gabriele aveva tenuto a battesimo imponendole il mistico nome de La Porziuncola».

Nel 1906 ritroviamo (un dono di Eleonora a Gabriele?) il quadro di Fungai in una fotografia di Mario Nunes Vais,

Una stanza da letto alla Capponcina. Dalla incontaminata purezza, conferitale nella dimora veneziana di Duse, la tavola viene immessa nella congerie, nella sequela, nel coacervo.

Riguardo a D’Annunzio, Bernard Berenson rammentava: «Sarebbe stato inutile, per me, parlargli del mio lavoro, perché gli mancava qualunque senso di qualità per le arti visive. Pur essendo un così raffinato delibatore di parole, il suo gusto in materia d’arte o di arredamento era pessimo».

Visitiamo, soffermandoci con agio, grazie a Palmerio, la ‘stanza verde’, che accoglie la Madonna di Fungai: «la camera da letto, parata torno torno con un vecchio damasco verde. Su la volta si stendeva un velario cinquecentesco egualmente verde con balzo di stoffa bianca a fiori, simmetricamente disposto con file pieghettate a guisa di raggi, riunite e fermate al centro da una ghirlanda dorata col motto ’Per non dormire’. Il letto basso, di stile orientale, con la testata poggiata alla parete per quel tratto parata di ricco broccato tessuto in oro ed argento, era coperto da serica coltre bianca opaca, rabescata ai lati con fiorami verde-scuri e nel centro con spighe d’oro. Ai piedi, tra due svelte colonne di marmo, venate anch’esse di verde, portanti in alto due Vittorie alate di bronzo a pàtina verde, posava una bellissima copia, a grandezza naturale, dell’Auriga di Delfo. A destra, a capo del letto, era una piletta per l’acqua santa, di vecchio argento sbalzato, e presso il capezzale un pugnaletto bene affilato con la sua guaina di cuoio rabescata. Alcune armi bianche arabe con impugnature d’avorio, tempestate di pietre colorate, e antichi vasi di maiolica e vecchi dipinti su tela e su legno di pregevole valore con belle cornici dorate, e piccoli libri graziosamente rilegati, e cofanetti ed anfore, posati qua e là su mensole, su tavolinetti, su colonnine».

Il modulo arredativo di d’Annunzio ad aggiungere, ad accumulare, mostra affinità e parallelismi con il vorace lavoro di appunto quotidiano dei taccuini e con la trama di citazioni congiunte, intrecciate, abbinate e giustapposte che sono presupposto delle sue elaborazioni in scrittura.

E non v’ha questione di poesia o di prosa: è una maniera di appropriazione, di assimilazione, di metamorfosi. Circondarsi di un contesto che consenta l’esercizio della voracità, d’una continua, permanente, inesausta presa di possesso, fino alla rapina.

È opportuno ricordare qui l’affermazione del poeta: ‘il superfluo mi è necessario come il respiro’. La condizione del suo vivere spirituale, una umwelt sensuale per modo che un dominante pensiero, una reiterazione ossessa trovino d’attorno un rimbalzo, una eco per caricarsi di energia, trarre motivazione, formulare la parola che plasmi l’immagine in suono.