Il Dipartimento di Giustizia Usa ha annunciato di aver presentato delle accuse verso 4 cittadini cinesi per la campagna di hacking mondiale che ha coinvolto dozzine di aziende, università e governi, in 12 Paesi, inclusi gli Stati uniti, tra il 2009 e il 2018. Gli hacker avrebbero usato lo spear phishing, una truffa tramite comunicazioni elettroniche o e-mail indirizzata a una persona, un’organizzazione o un’azienda specifica che ha spesso l’obiettivo di sottrarre dati, installare malware, e che in questo caso ha avuto come target i dipartimenti di ricerca sulle malattie infettive, tra cui Ebola, Mers e Hiv/Aids.

L’accusa era stata elaborata da un gran giurì a maggio, ma svelata ora, e identifica 3 degli accusati come agenti del Dipartimento di sicurezza dello Stato di Hainan, un braccio dell’intelligence cinese. I 3 avevano come obiettivo, secondo i documenti del tribunale, quello di installare malware su computer protetti e rubare i dati custoditi negli hard disk.

L’accusa sostiene che l’Hssd aveva creato una società di facciata per «identificare e reclutare hacker di talento per penetrare in enti stranieri (comprese le università, ndr) e rubare segreti commerciali, dati proprietari e reclutare linguisti esperti per interpretare il materiale rubato». I pubblici ministeri affermano che il progetto è andato avanti da luglio 2009 a settembre 2018.

Contemporaneamente il Dipartimento di Giustizia si è espresso anche sui problemi interni, e ha limitato la capacità dei pubblici ministeri di entrare in possesso delle email e dei tabulati telefonici dei giornalisti durante le indagini sulle fughe di notizie. Già all’inizio di quest’anno dei rapporti avevano rivelato che il Doj dell’era Trump nel 2017 aveva sequestrato segretamente i tabulati telefonici di diversi giornalisti, tutti appartenenti a quei media che The Donald vedeva come il fumo negli occhi, il Washington Post, la Cnn e New York Times.

I regolamenti dell’era Obama del 2013 richiedevano ai pubblici ministeri di informare i media in casi come questo, ma la norma è stata tranquillamente infranta. Ora il procuratore generale Merrick Garland ha chiesto chiaramente che il Congresso renda permanenti queste protezioni volute dal Diparmanento di Giustizia.

I sostenitori della libertà di stampa da tempo chiedono che i regolamenti siano codificati in legge in modo che le future amministrazioni non possano riprendere la pratica di prendere di mira i giornalisti, come accadeva nell’era Trump, e a questo scopo Garland in una nota ha chiesto al vice procuratore generale Lisa Monaco di condurre una revisione per sviluppare questi regolamenti.

«La nuova politica, che impedisce in gran parte ai pubblici ministeri federali di citare in giudizio documenti o testimonianze dei media, rappresenta un significativo passo avanti nella protezione della libertà di stampa – ha aggiunto Arthur Gregg Sulzberger, presidente della New York Times Company, e editore del Nyt – ma c’è ancora molto da fare e noi sollecitiamo l’amministrazione Biden a collaborare con il Congresso per approvare una legge federale che renda permanenti questi miglioramenti».