«Dall’amore libero sembra che si sia passati all’odio libero». Per aprire i lavori del G7 dell’avvocatura, l’incontro tra gli avvocati dei sette Paesi sotto il patrocinio della presidenza italiana del G7, Maria Elena Boschi trova una formula efficace. Il tema è «Sicurezza e linguaggio dell’odio», e le diverse avvocature del G7 lo hanno preparato, per la prima volta nella storia, collaborando gomito a gomito. Ma sin dalle prime battute è evidente che tra tutti i fronti in cui l’hate speech si sviluppa e fa danno, qui se ne affronterà uno solo: probabilmente quello principale, certamente quello più dibattuto da mesi e anni: quello della Rete.

La sottosegretaria alla presidenza del Consiglio parte ipotizzando, sulla base dei dati raccolti dall’osservatorio delle Pari opportunità, una modifica in corso del linguaggio dell’odio in rete, che si starebbe allargando rispetto ai “classici” temi razzisti e xenofobi per prendere di mira l’identità sessuale, sul genere, sull’età, spesso sugli handicap.

I temi che pone Boschi torneranno in tutti gli interventi: aggiornare la definizione del linguaggio dell’odio cogliendo per tempo le mutazioni; mettere a punto, coinvolgendo avvocati e giuristi, gli strumenti per intervenire efficacemente; accompagnare l’intervento sanzionatorio con quello formativo e preventivo («Avete fatto bene a chiamare qui i ministri, ma bisogna coinvolgere anche i maestri»); coniugare la difesa dalle fake news, dalle intimidazioni e dalle calunnie con la difesa della libertà di parola ed espressione.

L’ultimo punto è il più delicato. Non a caso, concludendo le assise, il ministro della Giustizia Andrea Orlando non è andato molto oltre il ribadire, sia pure con più convinzione di molti altri, la necessità di tenere insieme le due esigenze. Nell’intervento molto appassionato della presidente della Camera Laura Boldrini, da sempre convinta che la rete e la diffusione dell’odio siano priorità non ancora valutate in tutta la loro minacciosità e che proprio per questo ha voluto l’istituzione di due apposite e commissioni da lei stessa presiedute, la bilancia pende inevitabilmente dal lato repressivo: «Dobbiamo superare l’idea che il web sia un mondo a sé stante che non si può toccare, che ogni azione sul web significhi censurare, come se la libertà si realizzasse con l’assenza delle regole».

Discorso sacrosanto, a patto di non trascurare le specificità della rete e i contesti, che verranno poi segnalati molto lucidamente da Mario Ricca, docente di diritto interculturale a Parma. Non sarà, si chiede ad esempio, che la rabbia viene sfogata in rete anche perché le persone sentono di avere sempre meno possibilità di intervenire nella dimensione “reale”? Negare la necessità di porre alcune regole su Internet è impossibile, ma immaginare di trasferire di peso le stesse norme che regolano ad esempio la stampa sarebbe probabilmente sbagliato oltre che illusorio.

Più sofisticato il discorso del presidente del Cnf Andrea Mascherin, convinto anche lui che il linguaggio d’odio sia «il diluvio di questa era».Mascherin ha tracciato un parallelismo eloquente tra la libertà illimitata del mercato, che finisce per travolgere la vita degli individui come nella Grande Recessione, e quella di Internet, che arriva a risultati identici per altra via e ancora tra l’oligopolio che domina sia l’economia che la Rete.

Alla fine le sette avvocature hanno firmato una dichiarazione d’intenti che le impegna a continuare e intensifica la collaborazione. Ce ne sarà bisogno: la strada per mettere a punto un regolamento della Rete adeguato ai tempi e alle specificità del mezzo sembra ancora lunga.