«La luce è piena di spiriti maligni e fantasmi e il margine tra questo e l’altro mondo così nebuloso che ci vuol poco a ritrovarsi gomito a gomito coi morti». Da sempre la letteratura compie escursioni nell’ignoto, ma a partire dalla modernità il tema tende spesso a perdere connotazioni realistiche e ad avvicinare le sponde dell’inconscio, rendendo manifesto come il limen tra le due dimensioni del visibile e dell’invisibile sia davvero qualcosa di impalpabile.

Nelle superstizioni del folklore nordico è la stessa soglia tra la vita e la morte a parlarci di spazi insondati, velati, soprattutto nella letteratura d’Irlanda, che ha fatto del dialogo tra i vivi e i morti uno dei suoi immortali capisaldi. Accade nei «Morti» di Joyce e nel Dracula di Bram Stoker, ma anche in Melmoth l’errante di quel Charles Maturin, prozio materno di Oscar Wilde, il quale in uno dei suoi più famosi sermoni sepolcrali aveva descritto la terra come un enorme cimitero su cui, camminando, non possiamo non disturbare il riposo delle ossa dei nostri antenati.

Uno stile per l’inconscio
Si inscrive in questa tradizione anche Ossa di sole, di Mike McCormack, già vincitore di premi prestigiosi, che viene ora pubblicato in Italia nella accuratissima e musicale traduzione di Luca Fusari (Il Saggiatore, pp. 242, euro 24,00). Autore non tra i più noti del panorama irlandese contemporaneo, nonostante la sua magistrale raccolta di racconti (Getting It in the Head) avesse vinto il Rooney Prize for Irish Literature, che di solito spiana la strada a carriere fulminanti, ha dovuto attendere una ventina d’anni, impiegati in una proficua ricerca, per raggiungere la notorietà con quello che a tutt’ora si presenta come il romanzo della vita.

Ossa di sole non solo gioca con seria levità con un topos tra i più importanti nell’immaginario letterario, ma si confronta anche con quello che è forse l’unico stile consono a ritrarre le peregrinazioni dell’inconscio, il flusso di coscienza. A differenza di Joyce, però, qui le virgole scandiscono il ritmo del narrato; di punti, invece, neanche l’ombra, con l’eccezione di tanto in tanto di puntini di sospensione. Questo andamento ininterrotto ha spesso del realistico: non si limita a registrare le presunte incongruenze casuali della mente, ma osserva ogni vissuto penetrando nelle più remote pieghe dell’emotività. In una delle scene centrali, per esempio, un genitore fa visita alla mostra delle opere della figlia, e la scoperta di quale sia il principale materiale che lei usa gli provoca uno shock: si rigira il catalogo tra le mani e legge: I diari dello O negativo / Installazione di Agnes Conway / Materiale: sangue dell’artista.

Piombato in un incontrollabile sconforto che tenterà di nascondere, una volta sfogatosi approderà a una scena tra il comico e l’assurdo, degna di un Beckett psichedelico: «di che preoccuparsi, continuò Mairead, era solo sangue, avrebbe potuto essere molto peggio / quanto peggio / magari entravi in galleria e te la ritrovavi nuda / e perché mai nuda / ah, certi performer sono davvero matti, magari con in braccio un porcellino / un porcellino / sì, oppure nuda che pisciava in un / okay Mairead, ho capito».

In forma di poesia
I dialoghi in Ossa di sole assumono la forma esteriore della poesia, raccolti come sono in versi, ma lo stesso capita alle battute del protagonista dirette a se stesso, come avviene nelle prime pagine, in cui il rintocco di una campana subisce trasfigurazioni varie molto spaesanti, che non consentono di collocare con sicurezza la storia in alcun dove o in alcun tempo. Subito dopo, però, il romanzo piomba in un bagno di realtà che parla dell’Irlanda contemporanea, della crisi finanziaria del 2008, della Troika e di tutte le successive «riforme» economiche che avrebbero risollevato il paese. Pian piano prende forma un universo di sapore kafkiano, dove le persone appaiono come pedine sperdute nei meandri di labirintici castelli che funzionano come orologi, all’insaputa di chi li abita. Lo straordinario romanzo di McCormack punta tutto o quasi sulla resa visiva dell’immaterico, dell’intangibile, compiendo un importante passo avanti rispetto a tanta narrativa irlandese contemporanea, che gioca troppo spesso con triti stilemi di genere, o rincorre una rappresentatività hollywoodiana. Nel sottosuolo mentale descritto da Ossa di sole trova invece ancora asilo il tentativo di ritrarre rigorosamente una realtà allucinata ma in fin dei conti più vera di tante mistificazioni realistiche. Volente o nolente, infatti, il testo ha a che fare con quell’incrocio tra l’inconscio e la morte di cui hanno parlato tanti poeti e che è stato scandagliato dalla psicoanalisi.

Rimescolio di storie
Immergersi nelle affinità tra questo stato della psiche e la fine della vita consente di ricomporre una tela complessa che dà voce ai rumori del silenzio. Come nelle illustrazioni visionarie di William Blake e Alasdair Gray, è possibile intravedervi la resa testuale della realtà, che solo l’arte del romanzo può permettere: «un fascio testuale orizzontale ininterrotto che a un esame attento risultava essere un collage di citazioni da articoli di quotidiani locali, Telegraph, Sentinel, Herald, Western People, testate di provincia, e le citazioni erano recenti e tratte da cronache giudiziarie di tutti i tipi».

Questo rimescolìo di storie è anche un rincorrersi di voci e di immagini, e nel flusso verbale del libro di McCormack, sa regalare un senso di caos ordinato, riproducendo una cosmesi dell’ordinario camuffata da una narrazione quasi in stato d’ebbrezza. Ed è questo, forse, il pregio maggiore del romanzo, che potrebbe segnare una svolta nella narrativa contemporanea irlandese, o almeno ricollegarne i destini alle origini della sua tradizione più nobile e sperimentale.