Passato l’Appennino, una galleria dopo l’altra, sparisce il cielo azzurro e la Toscana è tutta nuvole nere. Una salita morbida attraversa frazioni che sono ormai un’unica fila di case e chiese e piccoli condomini che fanno un tutt’uno con Reggello, sedicimila abitanti nella città metropolitana di Firenze. A guardar su, verso Vallombrosa si vede quello scrigno dorato di foglie imbiancarsi velocemente.

MEGLIO TROVARE un posticino caldo da dove guardare questo scuro inizio d’inverno. Ci sono Gabryela e Paola e si parla del libro che hanno scritto assieme l’anno scorso: un tributo alla storia del loro territorio, ma anche alla conoscenza dettagliata delle condizioni degli internati durante la Seconda guerra mondiale, dopo ritrovamenti inaspettati di piccole/grandi storie dimenticate tra le carte d’archivio. Tra le vicende raccontate in un libro pienissimo di personaggi e sorprendenti collegamenti (Un filo rosso di Gabryela Dancygier e Paola Stoppioni, ed. Polistampa, Firenze 2021), c’è anche la storia di Miloš Lokar, studente di Giurisprudenza rastrellato all’Università di Lubiana durante l’occupazione italiana e condannato al confino. Non ci sono accuse precise per il giovane sloveno, solo generici timori di una sua partecipazione alle forme che la resistenza antifascista sta assumendo con sempre più determinazione.

«ERA IL GIORNO dei morti – racconta Paola – Gabryela ed io eravamo al cimitero di Reggello e ci ha colpito questa lapide con un nome straniero, la foto di un giovane di tanti anni fa e, soprattutto, quei fiori freschi sulla sua tomba. Chi era? Chi lo aveva conosciuto e lo ricordava a quasi ottant’anni di distanza?». Si cerca in Internet e si trova il suo nome nel gruppo dei confinati che discutevano di Europa e del Manifesto scritto a Ventotene su cartine di sigaretta: il gruppo di otto “federalisti” che sedevano alla mensa gestita da Altiero Spinelli. Tutto vero: ecco le carte nei fascicoli d’archivio, dal 9 ottobre 1942 Miloš è a Ventotene ma poi?

Miloš Lokar

A REGGELLO brillano argentate le foglie degli ulivi sotto la pioggia, qualche albero di cachi punteggia il cielo nero con i suoi frutti luminosi. Com’è capitato qui Miloš? Perché qui la sua sepoltura e quei fiori freschi? «Avevamo troppa voglia di capire, di sapere di più di questo ragazzo e di chi lo aveva conosciuto – racconta Gabryela – così abbiamo lasciato un biglietto appeso alla lampada votiva con il numero di telefono, sperando che chi si recava su quella tomba ci contattasse». E infatti ecco comparire Maria Reggioli, novant’anni passati, ben contenta di raccontare a qualcuno la storia triste e dolcissima di una frequentazione oltre i confini durata negli anni tra due famiglie lontane nello spazio ma unite negli affetti.

LA FAMIGLIA DI MILOŠ è colpita dalla durezza di quei tempi: il fratello Dušan, anch’egli internato, viene ricoverato a Bologna con la tubercolosi e, trasferito a Lubiana per le drammatiche condizioni di salute, muore assistito anche da Miloš che è riuscito ad ottenere un breve congedo ma che soffre di febbri già documentate dal medico di Ventotene che gli prescrive del chinino: la tubercolosi sta facendo strage e nessuna cura è stata ancora trovata. Un altro fratello di Miloš, Saša, ha conosciuto le condizioni pazzesche dei campi di concentramento di Gonars, in Friuli, e poi di Renicci, in Toscana, ma è riuscito a scappare e a nascondersi nella sacrestia di una piccola chiesa di paese. Il cugino Janez, a diciassette anni, è stato destinato al domicilio coatto e gira l’Italia anche lui, fino a Reggello dove riesce presto a fare amicizia con la famiglia di Maria Reggioli e gli altri giovani del paese. La situazione di Reggello non piace alle autorità, quella decina di stranieri hanno troppa confidenza con la popolazione che sembra non tenere conto che sono “nemici”, e fioccano segnalazioni che rimbalzano da un’autorità all’altra. Ed ecco come Miloš arriva a Reggello: Ventotene non è adatta alle sue condizioni di salute e ottiene un riavvicinamento ad un pezzo almeno della sua famiglia.

Gli archivi sono cornucopie capaci di regalare interi mondi: dai fascicoli escono atti ufficiali, appunti, testi, anche le lettere affettuose che alcune amiche di Miloš gli spediscono da Lubiana e che rimpallano da una destinazione all’altra e chissà se lui è riuscito a leggerle. E poi le testimonianze, i ricordi ancora vividi di Maria Reggioli e gli altri amici reggellesi.

CON IL DESTINO, poi, che ci mette del suo: il fratello di Maria Reggioli è militare in Jugoslavia e, malato di ulcera, viene ricoverato all’ospedale di Lubiana. La famiglia di Miloš e di Janez sa che figlio e nipote sono a Reggello e non può non prendersi cura di questo soldato italiano che viene da quello stesso paese. E restano in contatto, anche dopo, anche quando la bufera è finita e si può tornare a muoversi liberamente tra nazioni non più nemiche; Janez torna più volte a trovare i Reggioli e così loro a Lubiana. Ma Miloš non vede tutto questo: muore il 13 ottobre del 1943 a poco più di vent’anni all’ospedale di Figline Valdarno. La sua tomba resta a Reggello, il paese che lo ha ospitato e dove ha trovato gli ultimi momenti di amicizia e qualche foglia di tè sul comodino, il suo ultimo desiderio, cercato e pagato caro al mercato nero da Maria Reggioli che arriva troppo tardi per farglielo bere ma che continua, negli anni, a portare un fiore sulla sua tomba.