«Scrivere di Leone Piccioni, dei suoi libri e dei suoi articoli, (…) significa tracciare almeno un capitolo di storia della critica letteraria in Italia. In un tempo in cui la critica è stata ancora massimamente importante, con una sua centralità nella cultura». Così Marino Biondi si avvia a chiudere il volume dedicato a un protagonista delle nostre lettere: Leone Piccioni, una vita per la letteratura, Atti del Convegno di Studi, Archivio Centrale dello Stato, Roma, 27-28 maggio 2019, a cura di Gloria Piccioni e Silvia Zoppi Garampi (Succedeoggi Libri, pp. 328, € 23,00). La conclusione significativamente si intitola I bei giorni della letteratura. In effetti, tutti i saggi qui raccolti sono accomunati dalla capacità di rievocare, attraverso la figura e l’opera di Piccioni, un secolo che oggi sembra ormai molto lontano, quasi irrimediabilmente perduto. Leone è stato critico letterario, docente universitario e, a partire dal 1957, caporedattore delle trasmissioni culturali della Rai (tra i curatori di «L’Approdo», programma sia televisivo sia radiofonico, sarebbe poi diventato redattore dell’omonima rivista). Formatosi a Firenze con Giuseppe De Robertis, da cui eredita un metodo critico di impronta anticrociana (se ne occupa, nel presente volume, Emanuela Bufacchi), decisivo per lui è l’incontro a Roma con Giuseppe Ungaretti, destinato a sancire la nascita, dalla fine degli anni quaranta, di una «lunga fedeltà» presto sfociata in sincera amicizia: ne ricostruisce le tappe Paola Montefoschi).
La continiana fedeltà verso i propri autori è una delle parole-chiave più sfruttate nei diversi contributi per sottolineare l’appartenenza di Piccioni a una società letteraria fatta di intellettuali indipendenti, ancora lontani dalla «successiva deriva della società dei consumi». Si ripercorre, così, l’amore per la Firenze «dei poeti, dei caffè di San Marco e delle Giubbe Rosse», dove Piccioni frequenta Giancarlo Vigorelli e Carlo Bo (gli incontri fiorentini sono raccontati da Gastone Mosci); oppure, facendo ricorso alle raccolte di aneddoti e Detti memorabili, Gino Ruozzi attraversa i ritratti che Piccioni ha lasciato di Cardarelli e Gadda. Erano gli anni in cui l’autore del Pasticciaccio lavorava alla Rai e «riguardava i testi prima che andassero in onda»; per sottolineare la libertà degli intellettuali di allora, Leone racconta che Gadda un giorno «trovò in uno scritto un elogio del cinema neorealista italiano: al lato del foglio scrisse un suo giudizio, come del resto faceva spesso: “Macaco!”. Quando l’annunciatore lesse il testo fornitogli pronunciò: “Il neorealismo macaco del cinema italiano”».
Vigorelli, Bo, Ungaretti, Cardarelli, Gadda… Sono solo alcuni dei nomi che affiorano a più riprese negli interventi del volume, per circoscrivere la cerchia delle amicizie o dei feticci di Piccioni letterato. All’elenco ne andranno aggiunti almeno due: Mario Luzi, a sua volta oggetto di una costante attenzione critica «dalla giovinezza fino alla piena maturità» (ne parla Daniele Piccini), e soprattutto Montale, che Piccioni legge «da figlio di Ungaretti» e intervista nel 1966 con «controllata e signorile impazienza». Come si ricava dalle pagine di Raffaele Manica, il dialogo tra i due lascia già emergere i tratti di un rapporto profondo, che poggia sulla convinzione comune che la grandezza della poesia risieda nella sua capacità di farsi profetica e di situarsi sì «nel suo tempo, ma anche, sempre, oltre il momento». Così, alla morte del poeta, Piccioni può ricordarne l’opera affermando che «Montale non ha mai parlato (cantato) per i suoi giorni (…): si è riferito sempre alla condizione esistenziale dell’uomo (…). Ha seguitato a vivere, a insegnare la vita».
La nutrita serie di Testimonianze che chiude il volume mette in evidenza soprattutto l’umanità e la generosa disponibilità di Leone Piccioni nei confronti delle generazioni a lui successive. Il suo lascito si estende ben oltre l’incarico dirigenziale alla televisione italiana e l’importante lavoro di critico (si pensi a Ungarettiana e alla curatela dello storico «Meridiano» Vita di un uomo): è anzitutto rievocando il suo ruolo di «intellettuale di raccordo» e di «corrispondente comprensivo» che gli allievi e gli amici lo ricordano con affetto sincero.