Il nome, «Crouching Tiger, Hidden Dragon», è una «citazione» del film di Ang Lee, La Tigre e il Dragone, ma soprattutto punta all’essenza del nuovo festival nato in Cina la cui prima edizione sarà il prossimo ottobre (19-26). «Crouching Tiger» è la «Tigre pronta a fare il balzo», mentre «Hidden Dragon» è la parte più nascosta, ci spiega sorridendo Marco Müller che ne cura la direzione artistica. Una bella metafora pensando che l’«oggetto» in questione è il cinema, per dire di un festival che scommette sulle tendenze a venire e, al tempo stesso, di questo suo «oggetto» prova a esplorare le forme meno codificate.

 

 

L’idea viene da Jia Zhang-ke (Al di là delle montagne, Still Life), uno dei grandi autori contemporanei, che da qualche anno è anche produttore di nuovi talenti e distributore. Era il sogno della sua vita, racconta Müller, lui che ha viaggiato tanti anni nei festival del mondo insieme ai propri film, voleva fondarne uno nella città dove è nato, Pingyao, in quella provincia dello Shanxi che è paesaggio ricorrente nel suo cinema. Che abbia chiamato Müller è quasi nelle cose per il rapporto antico di amicizia, la conoscenza che ha della Cina, del suo cinema e soprattutto Müller di festival è un fabbricante unico, forse il migliore, ce lo ha nel dna, lo ha fatto da quanto era cucciolo e sempre imprimendo alle rassegne da lui curate una personalità forte. Pensiamo al festival di Rotterdam, che ha diretto nei primi Novanta: alla cifra underground di Hubert Balsan – i racconti di chi lo frequentava allora fanno pensare a una grande «comune» di autori, critici, cinefili ecc – ha unito l’Asia trasformandolo in uno degli appuntamenti chiave per conoscerne le cinematografie.

 

 

Poi c’è stato il festival di Locarno con la risistematizzazione critica – che è qualcosa in più di una «retrospettiva» – di molti autori (Robert Kramer, la Corman Factory…). E poi ancora la Mostra di Venezia, i tempi cambiano e in un festival mainstream Müller osa sperimentazione e formati crossover negli Orizzonti in cui sono cresciute molte giovani generazioni cinefile – oggi il solo festival grande che segue questa politica è la Berlinale dove si passa dalla serie tv al cinema expanded.

 

 

Che festival sarà dunque Crouching Tiger, Hidden Dragon? «Ci piacerebbe che diventasse un riferimento specie per il pubblico giovane, tra i 18 e i 25 anni, come quello che affolla il cineclub a Pingyao dove Jia Zhang-ke mostra i nuovi autori cinesi » dice Müller di passaggio a Roma. Un afoso pomeriggio d’estate al tavolino di un caffè, molto entusiasmo e molte idee.

 

 

Su quale idea di cinema state lavorando per Crouching Hidden Dragon?
Pensiamo a un festival in cui trovi spazio il cinema d’autore, ma anche quello più sperimentale, che fa maggiore fatica a circolare in Cina. La distribuzione di Jia Zhang-ke fa parte di un circuito d’essai che sul mercato cinese ha dei numeri molto alti. Anche in questo caso l’obiettivo è aprire un nuovo spazio per gli autori, e alcuni dei film che mostreremo al festival usciranno dopo in questo circuito. Si scommette sul fatto che sono film diversi da quelli diffusi abitualmente, il pubblico a cui ci si rivolge è una media borghesia urbana che parla inglese, infatti i film nell’essai escono in versione sottotitolata, sono doppiati in cinese quando si tratta di animazioni. I film di supereroi hollywoodiani che oggi vengono prodotti con finanziamenti cinesi sono fatti per uscire anche in Cina.

 

 

 

E riguardo alla programmazione ci sono delle priorità?

Vorremmo costruire una linea di ricerca chiara. Naturalmente ci saranno i film che ci piacciono, che rifiutano in qualunque formato, documentario o narrazione, di appiattirsi sull’attualità o di essere una sorta di atlante di un Paese. Ma possono essere anche film di genere, con un’attenzione ai «nuovi generi» asiatici, latinoamericani,o ai lati nascosti del genere, spettacolari, non codificati, all’ expanded cinema. Quello che conta è costruire una dinamica, poi si può scommettere su quanto serve per dargli una fisionomia. Non vogliamo però un festival gigantesco, avremo in cartellone circa quaranta titoli, il che permette un rapporto più disteso e diretto tra ospiti e pubblico.

 

 

 

 

Ci sono riferimenti, ispiratori, numi tutelari?
Ne abbiamo due, Rossellini per la parte internazionale e Fei Mu (Spring in a Small Town) e per quella cinese, sono due nomi che permettono una grande libertà di movimento, uno spettro estetico e politico amplissimo. Entrambi sono registi che non hanno mai smesso di confrontarsi con una continua ridefinizione del proprio fare cinema e col concetto di realismo. In questa direzione, ad esempio, va la scelta di un film come ’A Ciambra di Jonas Carpignano. Il protagonista sarà, come suggerisce appunto il nome del festival, il cinema destinato a riguardarci, le opere prime e seconde che verranno sottoposte al giudizio di una giuria di studenti di cinema provenienti da tutta la Cina. Vogliamo che il pubblico – chiamato a dare anche un premio – scopra nuovi attori e attrici. Penso al cinema italiano che in Cina ha una scarsa diffusione perché mancano volti riconoscibili.

 

 

 

 

Chi sarà invece il protagonista della prima retrospettiva?
Jean Pierre Melville che è un regista al quale tornano ancora in molti, e anche chi non ti aspetti se pensi che una regista come Ann Hui lo cita tra i suoi maestri. Ci sarà John Woo, e poi verranno Jarmusch, Tavernier che di Melville è stato assistente.

 

 

 

 

Come sarà organizzato il festival?
Pingyao è una cittadina molto piacevole e ospitale. Ci saranno sei centri del festival dove, come dicevo, tutti potranno incontrarsi, e avere modo di passare del tempo insieme.