La preparazione del Recovery Plan dell’Italia dovrebbe fare davvero tesoro del radicalismo sui generis, tanto “pragmatico” quanto “ispirato”, che Joe Biden sta mostrando  da presidente degli Stati Uniti. Tralasciando la sfilza di executive order con cui Biden, appena insediato, ha iniziato a correggere moltissimi degli atti più deleteri di Trump (in materia di finanza, di corporations, di tassazione, di sindacalizzazione, di immigrazione, ecc.), balza agli occhi, dopo il Rescue Plan (1900 miliardi di dollari per la ripresa americana), lo spirito rivoluzionario del The American Jobs Plan, un piano di 2290 miliardi di investimenti pubblici in otto anni. A impressionare non è solo l’entità quantitativa (enorme!) delle cifre in gioco, ma anche lo spessore e la portata dell’ambizione riformatrice e trasformatrice impressa allo slancio progettuale, entro un quadro interpretativo che riafferma la crucialità della distinzione destra/sinistra, agli antipodi di un indistinto neocentrismo.

NELL’AMERICAN Jobs Plan le innovazioni sono profonde e riguardano sia il livello dei contenuti specifici, sia quello concettuale retrostante. Anzi, potremmo dire che è il grande approfondimento concettuale-culturale che traspare dietro le proposte specifiche a consentire l’incisività delle proposte medesime. Questo è vero in particolare per la scelta di rivoluzionare la categoria stessa di “infrastruttura” annoverando in essa la “cura” intesa in senso molto ampio, come cura delle persone, delle comunità, dei territori, “cura del mondo” direbbe Elena Pulcini, la filosofa delle passioni e dei sentimenti che ci ha lasciato pochi giorni fa.

COSÌ UN URAGANO benefico di fondi e di risorse (621 miliardi) si riverserà nella ristrutturazione di strade, ponti, porti, aeroporti (su cui l’America “per più di una generazione” non ha investito), nella modernizzazione con tecnologie pulite di trasporti, reti idriche ed elettriche, banda larga (specie nelle zone rurali), nell’ammodernamento di asili, edifici scolastici e commerciali, case (1 milione saranno ristrutturate o costruite ex novo), nel rinnovamento della manifattura, soprattutto per semiconduttori, batterie per auto elettriche, farmaci. Ma un ammontare non irrilevante (circa il 20% dell’intero piano) andrà alla rivitalizzazione delle comunità e all’assistenza ai disabili e agli anziani non autosufficienti (non coperta attualmente dal Medicaid, il programma sanitario pubblico per i redditi bassi), con ricadute molto positive sul benessere generale e sulla careging economy in cui lavorano molte donne, spesso di colore. Così come un impegno molto significativo riguarderà la Ricerca e Sviluppo, rispetto alla quale gli Stati uniti hanno troppo trascurato che in passato “nuovi motori della crescita economica”, come l’invenzione dei semiconduttori e la creazione di Internet, sono emersi grazie agli investimenti pubblici.

PIÙ IN GENERALE l’American Jobs Plan esprime una straordinaria consapevolezza di quanto “problematica degli investimenti pubblici” e “futuro del lavoro” sono intrecciati. Il crollo degli uni – caduti del 40% in America dagli anni ’60 ad oggi – è la chiave di volta per comprendere i problemi odierni del secondo, compresa la drammatica fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro verso l’inattività, accelerata dalle implicazioni della pandemia, le quali rischiano di “erodere più di trenta anni di progressi nell’incremento della partecipazione femminile al lavoro”.

COSÌ COME il rilancio del lavoro, a sua volta, è la chiave di volta per imprimere agli investimenti un adeguato impulso trasformativo. I lavori da creare debbono essere buoni, di buona qualità e ben pagati, per dare un senso veritiero all’obiettivo della “piena e buona occupazione”. Il costo delle disparità – di genere, razziali, territoriali, sociali – è divenuto insostenibile. La lotta all’inquinamento e al degrado ambientale è indifferibile e reclama la costituzione di un nuovo Civilian Climate Corp, analogo ai Job Corps, le Brigate del Lavoro di Roosevelt. Sono necessari programmi straordinari di “lavoro pubblico” per ottenere una rivitalizzazione dei ceti medi, di quella main street al cuore del necessario rinnovamento dei processi democratici. E per tale rivitalizzazione è fondamentale restituire spazi di iniziativa ai sindacati, allargare la sindacalizzazione, ricostruire condizioni simili a quelle che consentirono alla manifattura americana di operare, nella seconda guerra mondiale e dopo, come l’”Arsenale della democrazia”.

È ANCHE IN QUESTA prospettiva che il finanziamento del piano va operato con un aumento della tassazione delle imprese (ci si propone di portare al 28% l’aliquota abbassata da Trump dal 35 al 21 %) e degli individui che guadagnano più di 400 mila dollari l’anno.
Insomma, appare veramente di rottura l’impianto che la nuova amministrazione americana sta dando alla sua politica economica e sociale, con un forte ruolo dello Stato e degli investimenti pubblici e una nuova centralità delle questioni del lavoro. Le parole chiave sono rigenerazione, rinnovamento, trasformazione. L’ambizione è di incidere profondamente sullo status quo e modificare radicalmente il modello di sviluppo.