Non un film di fantascienza, ma un film carcerario. Così Claire Denis, nella conferenza stampa a seguire la proiezione del film, ha descritto High Life, rispondendo a chi le chiedeva come è stato, per una regista abituata a lavorare «saldamente coi i piedi sulla terra», dirigere una storia tutta ambientata nello spazio. «Non pensavo allo spazio, e certamente non all’idea della sua conquista. Non potrei mai. Per me quest’astronave è una prigione, la più inespugnabile, remota, che si possa immaginare». Prodotto dalla francese Wild Brunch con un occhio alle sensibilità più trendy del mercato Usa (lo distribuirà A24), High Life è interpretato da Juliette Binoche e Robert Pattinson. Girato in Germania e inglese perché, dice ancora Denis, «su un’astronave si può parlare solo in inglese o in russo, il francese farebbe ridere».

L’inizio, depistante, è un campo ravvicinato su quelli che sembrano i dettagli di una giungla, verdissima e umida. In realtà si tratta dell’orto lussureggiante di una navicella spaziale diretta ai confini del cosmo. La missione: capire se è possibile catturare l’energia di un buco nero a trasferirla sulla terra. L’equipaggio: la versione millennial di Quella sporca dozzina, un gruppo di giovani pregiudicati che, mentre sono in viaggio, fungono anche da cavia all’ossessione genetica di una scienziata (Binoche) decisa a provare che si può procreare e crescere un bambino anche ad anni luce di distanza e tra radiazioni che vanno e vengono. Diversamente dalla coppia di Private Life, qui il neonato arriva. È una bimba, le cui urla perforano il cielo nerissimo e il casco da astronauta di Pattinson, impegnato ad aggiustare la navicella che oltre a lui e al bebè contiene in realtà solo dei cadaveri.

Film claustrofobico, a tratti tormentato e spesso affascinante, anche lui tutto un andirivieni temporale, High Life è in gran parte un duetto, di suoni, espressioni, tocchi, tra l’attore del cronenberghiano Cosmpolis (una chiara influenza su questo film, a partire dalla fuck box, una camera/scatola dove c’è una macchina che procure orgasmi) e la neonata che sappiamo essere sua figlia. È un progetto malinconico, che Denis voleva da molto e che inizialmente avrebbe dovuto esser scritto da Zadie Smith. Ma, ha spiegato la regista, le loro visioni si sono rivelate troppo diverse. «Non abitavamo sullo stesso pianeta».