La prima settimana di marzo, la prossima, potrebbe essere quella buona per l’approvazione alla camera della nuova legge elettorale, materia parlamentare ma obiettivo fondamentale del governo Renzi. Al risultato si può arrivare grazie al meccanismo dei tempi contingentati, che assegna ai deputati un totale di 20 ore massime per la discussione. Poi si vota e per quanti distinguo possano esserci nella maggioranza, l’esito positivo finale non è in discussione. Anche perché Berlusconi continua a rivendicare, stavolta via facebook, il valore del patto sull’Italicum che lo lega al presidente del Consiglio: «È giusto che i due grandi partiti, Forza Italia e Pd, lavorini insieme per una svolta importante».

Dal punto di vista di Renzi. ieri anche un’altra buona notizia. Il presidente della Corte Costituzionale, nel suo annuale incontro con la stampa, ha chiarito che le liste bloccate non sono in contraddizione con la recente sentenza della Consulta. Purché siano liste «non così lunghe da incidere sulla libertà dell’elettore». Proprio il sistema previsto dall’Italicum, dove sulla scheda l’elettore trova una lista di (in media) quattro nomi (contro gli oltre 40 degli elenchi del Porcellum).

Andando più a fondo nel ragionamento del presidente della Corte Costituzionale, però, si scopre che i problemi per la riforma immaginata dal tandem Renzi-Berlusconi sono altri. In materia elettorale, ha spiegato il giudice Gaetano Silvestri, anche dopo la sentenza della Consulta il parlamento ha ampia discrezionalità. Ma a condizione, una volta scelto l’impianto proporzionale (come quello dell’Italicum), «che non venga irragionevolmente alterato il rapporto di proporzionalità». Cioè in altre parole «l’equilibrio tra rappresentanza e governabilità». Non si può sacrificare troppo la rappresentanza in favore della governabilità, è questo il cuore della sentenza della Consulta, il discrimine per valutare la «ragionevolezza» nella distorsione del principio proporzionalistico. Per valutare sotto questo profilo l’Italicum proprio ieri sono arrivati i risultati di una simulazione compiuta dall’ufficio studi della camera. Dalla quale arriva la conferma che se si fosse andati a votare con il nuovo sistema nel febbraio scorso, solo quattro partiti sarebbero sopravvissuti alla mannaia delle soglie di sbarramento: Pd, Pdl, Grillo e Scelta civica. Tutti i «piccoli» fuori. E al Pd, o al Pdl a seconda dell’esito di un eventuale ballottaggio, sarebbe andato per intero il premio di maggioranza, anche per la parte conquistata grazie ai voti degli alleati più piccoli. A conti fatti il premio di maggioranza sarebbe schizzato al 22% e più di sei milioni di voti validi sarebbero finiti nel cestino. Altro che «assicurare la rappresentanza alle diverse articolazioni della società civile», come da raccomandazione di ieri di Silvestri. Non solo, la simulazione dimostra un’altra illogicità, l’assegnazione del tutto casuale dei seggi circoscrizionali, che per alcuni partiti finiscono ai candidati delle liste che hanno realizzato il risultato peggiore.

È invece tutto politico un altro ostacolo che si è materializzato ieri lungo la strada di Renzi. Una trentina di senatori, a partire da un nucleo di fedelissimi di Letta, ha firmato un documento in cui chiede di legare la nuova legge elettorale alla riforma del senato (tempi molto più lunghi) oltre che al conflitto di interessi. Mossa per spezzare l’asse con Berlusconi che rischia di raggiungere consensi importanti quando, la settimana prossima, si voteranno gli emendamenti all’Italicum. Osservato speciale il 2.8 del Pd Lauricella che differisce l’entrate in vigore dell’Italicum e scarica l’arma delle elezioni anticipate.