Ogni tanto fa bene dire che la scrittura è esercizio di libertà. Fa bene dirlo andando oltre il semplice e attaccabile luogo comune che vuole l’abito dell’intellettuale contemporaneo sdrucito e consumato dal suo continuo strusciarsi sui braccioli di un potere mutevole, volitivo e tanto onnicomprensivo da pervadere non più solo coscienze, ma gli stessi corpi di chi desidera risiedervi, anche nelle più marginali estremità. Dunque, filosoficamente si sta sempre dentro la società, quantunque teorie, il più delle volte bislacche, cerchino di sensibilizzare e far condividere modi altri di vita che però, a conti fatti, sembrano non tenere botta né capacità di sussistenza, qualsiasi sia il piano e livello a cui si ascende o tutt’al più di precipita. In questo saliscendi pericolosissimo, in cui germogliano le pulsioni più cupe della contemporaneità, spesso sobillate e soggiogate da rabbie una volta dette inconfessabili, ha dell’incredibile come un piccolo libro di poesie, stia spostando equilibri ritenuti, per l’appunto, inscalfibili: in un rovescio intellettuale che sta spiazzando sia chi di mestiere si crogiola nel crepitio delle pallottole “social” che ormai sbriciolano i muri delle nostre esistenze sia chi, invece, di professione cerca di codificare nuove forme di comunicazione e inclusione sociale. Dunque, questo miracolo ha un titolo:”Dolore minimo” ed è uscito nel maggio scorso nella collana Lyra Giovani, diretta da Franco Buffoni per Interlinea ed incorniciato da una presentazione di Dacia Maraini e da una nota di Alessandro Fo. Ma, per cronaca bisogna aggiungere che di questo libro si avevano già da qualche mese notizie e anticipazioni di poesie in riviste e periodici on line. L’ha scritto Giovanna Cristina Vivinetto, ventiquattrenne siciliana, di stanza a Roma per vita e studio. Giovanna è la prima trans italiana che attraverso la scrittura in versi racconta la sua transizione. E’ la prima volta che accade, non vi è un antecedente cui appigliarsi, di sicuro ci sarà un dopo perché Giovanna sta lavorando ad un nuovo libro che uscirà tra la fine del prossimo anno e il 2020 per un grande editore ed è questo un altro successo, stando alla poesia e di come nell’ultimo periodo molte collane storiche sono state chiuse o nettamente ridimensionate dai piani editoriali delle case editrici maggiori. Incontrata ai primi di Luglio, mentre era di passaggio a Milano per il “pride” dove avrebbe letto alcune sue poesie, ha partecipato ad di una serie di incontri, reading, dibattiti, video che l’avrebbero portata a parlare alla Casa delle Donne di Alessandria e qualche settimana dopo a vincere con una poesia inedita il Premio Cetonaverde Giovani. L’intervista conserva nelle more del suo farsi memoria, due “fotografie” che fanno comprendere quanto la Vivinetto riesca ad esprimere con la sua persona: il mostrare con gioia la sua nuova carta d’identità frutto di una lunga trafila burocratica e l’essere riconosciuta, con leggero imbarazzo, mentre sorseggiava una bibita, da un giovane commesso di libreria. Anche quando racconta di sé e della sua infanzia si solleva dal suo viso un sorriso contagioso che non svia l’attenzione dalla grande battaglia civile che ha appena cominciato, consapevole che la poesia quando si batte nel presente è sempre militante e civile:”Mi piacerebbe poter parlare ai ragazzi e alle ragazze che si sentono smarriti e abbandonati, ma non da una cattedra, non ci devono essere differenze, deve stabilirsi una comunicazione. Dico che avrei voluto al me che ero allora che ci fosse stato qualcuno a spiegarmi queste cose come si può cadere in situazioni pericolose, nella prostituzione o ad essere portati a commettere gesti estremi. Allora con i primi social mi ero costruita un profilo falso, avevo usato addirittura una foto di una mia compagna di classe, lì virtualmente mi sentivo me stessa. La realtà mi deprimeva, vedevo il buio, fino a quando ho chiuso il profilo e ho trovato una persona con cui condividere i medesimi interessi, a cui non importa né chi ero né chi sono, ma interesso come persona”.

Il “te di allora” com’era?

Ho ricordi sfumati e qualcuno più preciso. Da bambino, ero Giovanni e lo sono stato a lungo e nella sostanza non ho poi cambiato il mio nome, vi ho aggiunto Cristina perché mi piaceva come mi piacevano gli smalti per le unghie, desideravo come ho adesso i capelli lunghi, chiedevo a mia madre un abito da sposa. All’edicola compravo soprattutto i giornalini destinati alle bambine. Collezionavo anche album dei giocatori, a giocare a pallone però non mi piaceva. Avevo amiche che mi capivano. Mia madre mi ha sempre assecondato vedendo forse tale predisposizione come ingenuità infantili. E’ un’insegnante di scuola materna e ha sempre saputo relazionarsi con i bambini. Ho guardato in lontananza mio padre. Oggi non è più così. Poi, mi sembra che scrivere mi sia sempre appartenuto come il leggere e per esempio a differenza di mio fratello gemello che è completamente diverso da me, leggevo di tutto”. “Ho iniziato a scrivere leggendo e osservando i classici. E’ accaduto durante gli anni del liceo. Dante Foscolo Leopardi, mi dicevo: queste persone, così grandi, geni assoluti. Voglio emularli. Sono stati per me un grande laboratorio di scrittura”.

Dunque, sei arrivata immediatamente a scrivere poesia?

No, assolutamente. Volevo scrivere un romanzo. Avevo come modelli i grandi romanzi dell’Ottocento. Mi piaceva molto Bulgakov, ma erano le sorelle Brontë e la Austen con il suo “Orgoglio e pregiudizio” ad interessarmi. Scrissi centocinquanta pagine di questo romanzo, c’erano 30 personaggi. Troppi tanto che abbandonai, anche perché mi trasferì a Roma per frequentare l’Università. Dovevo dedicarmi allo studio e smisi di scrivere.

Com’è stato il passaggio da una realtà piccola e a quanto pare di capire protetta com’era la tua vita in Sicilia a Roma, una città che oggi non è più solo una “grande bellezza”, ma anche un grande ed irrisolvibile “problema”?

Sono sincera. Non ho avuto problemi. Ho subito frequentato presentazioni di libri ed incontri. Ho trovato un clima culturale stimolante. Roma è stata cruciale per me sia nella vita di tutti giorni sia per la poesia. In un certo senso l’ho mitizzata, quasi tutti i grandi poeti del ‘900 erano venuti a Roma, avevano scritto a e di Roma, anche se ero concentrata sullo studio all’università. A Roma sono diventata Giovanna: qui ho iniziato la cura per la transizione. Qui ho avuto i miei nuovi documenti che attestano la mia identità. Qui ho i miei affetti e amori. Nel frattempo, ripresi anche a scrivere. Durante la conversazione ho accennato alla Szymborska. Mi fu consigliata da un professore di filosofia. La lettura dei suoi libri, delle sue poesie mi ha influenzato molto, per questa sua capacità di dire cose e andare in profondità a questioni complesse in modo semplice. Mi ha fatto capire che potevo affrontare qualsiasi tipo di argomento, avere un tema sui cui avere da scrivere.

Oltre Wisława Szymborska, c’erano poeti italiani, al di là dei classici citati, che potevano suggerirti tensioni ed indirizzi estetici?

Nel momento in cui mi sono resa conto di avere una tematica da sviluppare, iniziai a leggere anche i poeti italiani contemporanei. Inizio a leggere Cucchi, Buffoni, Mariangela Gualtieri, Vivian Lamarque, la Valduga. Non avevo modelli certi cui riferirmi. Ho solo compreso che da quelle letture era venuto fuori il nucleo di un qualcosa che poteva, com’è poi diventato, un libro che s’è delineato successivamente come un romanzo in versi.

Hai detto che sei stata editor di te stessa. Puoi spiegare?

Ho compiuto un lavoro molto certosino sul materiale che avevo scritto e raccolto. Ho scartato molto, quasi tanto materiale quanto è contenuto nel libro. In questo senso sono stata editor di me stessa. Sono stata molto diretta nel parlare di me, anche se nel leggere il libro m’accorgo che “Dolore minimo” ha lasciato molte cose in sospeso. Alcune questioni restano come dire non dette, incompiute e le potrei dire meglio, approfondire da una prospettiva differente come sto facendo nel nuovo libro, rovesciando la relazione. Come il partner, stavolta, si relaziona con te, con un corpo diverso, in transito”.