Il documento “alawita” pubblicato da Repubblica, Le Figaro e Welt am Sonntag appare sulla scena in un momento delicato. Nel silenzio occidentale sulla ripresa di Palmira, 8 pagine puntano a indebolire il fronte siro-russo.

“Dichiarazione di una riforma dell’identità”, il nome del documento firmato da religiosi non identificati, parla della fede alawita: religione del 12% dei siriani, comunità nata in Iraq nel X secolo, nella storia accusata di eresia e perseguitata e da secoli concentrata lungo la costa. Parla di una Siria secolare e laica, purificata da settarismi religiosi ed etnici.

Non parla di Assad, seppure in molti leggano in uno dei punti una presa di distanza dal governo: «Il potere politico governativo, chiunque sia ad impersonificarlo, non rappresenta noi e la nostra identità né tutela la nostra reputazione. Né noi, gli alawiti, generiamo questo potere. La legittimità di un regime va valutata secondo i criteri della democrazia e dei diritti fondamentali».

Dei dubbi sorgono: non si sa da chi sia firmato, se tra loro ci siano anche personalità di alto rango, e quale consenso abbia tra la comunità alawita. E ci si chiede perché – visto l’anonimato – il documento non sia più esplicito nei confronti di Assad.

Di certo sta la storia della guerra civile vissuta dagli alawiti. A causa dell’appartenenza della famiglia Assad alla comunità, i civili hanno subito le rappresaglie delle opposizioni, sono stati affamati dalla guerra e intrappolati tra governo (che qui è radicato ma oggi indebolito dal conflitto e dai morti che ogni famiglia piange) e gruppi islamisti.

E questo è probabilmente il cuore del documento, se veritiero: chiama alla lotta ai settarismi e alla rinascita di uno Stato secolare e unito. Quello che la Siria era prima dei tentativi di frammentazione messi in atto da fuori.