Fermare la corsa al consumo del territorio, non utilizzare più il patrimonio artistico come fosse «un pozzo petrolifero» (da sfruttare peraltro solo in piccola parte con i «beni star»), tornare a studiare la storia dell’arte nelle scuole (ripristinando le ore tagliate dalla riforma Gelmini), non indebolire le norme per le esportazioni di opere fuori dai confini nazionali, non svilire il ruolo delle soprintendenze né cancellare le direzioni archeologiche. E poi, sospendere l’attuazione dello Sblocca Italia della legge Madia, rivedere le varie riforme Franceschini, rinunciare una volta per tutte alle procedure d’emergenza, evitare di smembrare i parchi nazionali e reinserire nel mondo del lavoro, oltre ai diritti, il sacrosanto principio di competenza e professionalità.

Fra le richieste, c’è anche l’assunzione di 1400 lavoratori nel ministero per i beni culturali, così che non si senta più parlare di carenza di organico e non si prendano in giro giovani laureati con la formula dell’impiego che in realtà è un volontariato. Altro obiettivo sensibile, biblioteche e archivi: la domanda delle cittadine e cittadini è che non vengano abbandonati e ricevano i regolari finanziamenti.
La manifestazione indetta per oggi a Roma da Emergenza Cultura, salviamo l’articolo9 – con partenza alle ore 11 da piazza della Repubblica per arrivare a piazza Barberini, dove avrà luogo il comizio di chiusura – ha moltissimi «appunti» da far registrare al governo Renzi. E, in effetti, è un cahier de doléance che fotografa alla perfezione la situazione della cultura in Italia, nonostante gli annunci propagandistici degli ultimi tempi.

In sostanza, la ragione del corteo si può riassumere in una sola che le contiene tutte: la cultura deve essere un servizio pubblico sociale, non soggetta ai vari tradimenti e ricatti della politica italiana. La sua fruizione è un diritto, mentre la sua «manutenzione» un dovere dei vari governi