Cosa succederebbe se l’asteroide non avesse colpito la terra? La risposta alla domanda da cui è nato Il viaggio di Arlo, viene anticipata nel prologo, con un’unica, impagabilmente flemmatica, inquadratura notturna, che segna subito il mood ellittico, buffo e irriverente del film, uno dei più strani, spericolati, e carichi di energia che la Pixar ha realizzato negli ultimi anni. E, con i dialoghi ridotti al minimo e i suoi magnifici panorami foto realistici, ispirati al Tetons National Park del Wyoming, uno scarto molto netto rispetto all’universo stilizzato e parlatissimo di Inside Out. Al dinosauro timido di questo nuovo film, gli adulti preferiranno le emozioni colorate al femminile del grande successo di Cannes (favorito all’Oscar per l’animazione di quest’anno). I bimbi forse no.

La storia, ci spiega un cartello, si svolge parecchi milioni di anni fa. Siccome l’asteroide che avrebbe dovuto sterminare la loro specie ha deviato rotta, i dinosauri non solo popolano la terra, l’hanno colonizzata, come i vecchi pionieri del Far West. In una conca luminosa, ai piedi delle montagne innevate e delle valli ripide che hanno fatto da sfondo – tra gli altri – a Il cavaliere della valle solitaria di George Stevens, Il grande cielo di Howard Hawks e Il grande sentiero di Raoul Walsh e Fai come ti pare con Clint Eastwood, una famiglia di apatosauri conduce una pacifica esistenza agricola – papà, mamma e tre figli, di cui l’ultimo, Arlo, è così pavido che persino le spennacchiate abitanti del pollaio riescono a terrorizzarlo.

La scelta del paesaggio, riprodotto nel cartoon in tutta la sua grandiosità e con verosimiglianza fotografica straordinaria (che contrasta deliberatamene con il disegno semplificato dei dinosauri), non è casuale: articolato – come tanti film Pixar – nell’arco di un viaggio, e ricco di citazioni colte dalla miglior tradizione disneyana, Il viaggio di Arlo è soprattutto un western, traboccante dell’amore che il cinefilissimo gruppo di Emeryville ha per il genere – dai bisonti, ai bivacchi notturni che ricordano quelli di Pecos Bill in Melody Time, alle musiche, fino ai dettagli delle inquadrature inerpicate sui sentieri rocciosi e lungo torrenti arrabbiati.

Un pauroso temporale colpisce Arlo e suo padre nel corso di una delle spedizioni in cui il genitore tenta di metter fine alla codardia del figlio minore. Travolto dal torrente in piena, Arlo si ritrova ferito e paralizzato dalla paura, parecchie miglia giù a valle (la natura del film è bellissima e terribile, come quella dei romantici).

Il viaggio per tornare a casa gli sembra insormontabile, anche perché l’unico essere che si presenta in suo soccorso è un feroce bambino cavernicolo con gli occhi verdi, che invece di parlare ringhia o ulula (ancora Pecos Bill) e, camminando a gattoni, divora tutto quello che gli passa davanti.

L’accoppiata tra il dinosauro civilizzato e il bimbo bestiale è una classica trovata Pixar, intorno a cui si inanella il resto del film, prevedibilmente fatto di strani incontri, come quello con un malinconico styracosauro, Pet Collector, addobbato di creature esotiche, come un albero di Natale, con degli avvoltoi preistorici che ricordano quelli di Il libro della giungla (solo più cattivi) e con una famiglia di T-Rex rancheros, impegnati nella caccia ai pennuti (!) ladri di bestiame che si sono impossessati della loro mandria. Agli incontri diversi corrispondono paesaggi diversi –deserti, pianure, specchi d’acqua cristallina, conche di calcare bianco/rosa.. È chiaro che parte del divertimento di chi ha fatto il film è stata l’animazione iperrealistica della natura (tecnologia già accennata in A Bug’s Life-Megaminimondo ma qui evolutissima).

E l’enfasi sul mondo naturale (oltre al leit motiv della perdita di un genitore) ha ricordato a molti Bambi. In realtà, il film Disney a cui Arlo somiglia di più è probabilmente Dumbo, di cui riprende, oltre al tocco comico, e al temporale come evento traumatico, anche la sequenza lisergica, quando Arlo e il bimbo selvaggio fanno una scorpacciata di bacche rosse. I dialoghi ridotti al minimo, lo scarto frequentissimo tra risata, dolore e paura, il film produce spontaneamente quel roller coaster emozionale tutto di testa che in Inside Out ci era sembrato fosse rimasto sulla pagina.

Molti dei critici americani (a cui in genere è piaciuto) lo hanno definito «semplice» e, in alcuni casi, un Pixar di serie B. Ma la semplicità (solo apparente) delle idee è sempre stata una delle filosofie portanti dello studio di Lasseter, e la voglia di sfruttare a fondo le possibilità di ogni gag, anche la più transitoria (stupenda la sequenza con le talpe) che si ritrovano qui, ricordano i momenti migliori della storia dello studio.

Quello che il film forse non ha, rispetto a capolavori come i Toy Story o Wall-e, è la cura incredibile nei dettagli del disegno o l’uniformità del tratto. È la prima volta che la Pixar fa uscire due film in uno stesso anno – e il taglio dei tempi di produzione si sente e si vede…In più, durante la produzione, il regista originale di Arlo, Bob Peterson, è stato rimpiazzato dal suo co-regista Peter Sohn – il che avrà contribuito alla disomogeneità del film. Ma, anche per il pixariano più convinto, queste imperfezioni sono un prezzo molto piccolo da pagare a fronte di un’esperienza della visione ricchissima.