Quando nell’autunno del 1994, a casa di suo fratello Nick a Los Angeles, arrivarono alcuni scatoloni provenienti dalla Germania, Simon Goodman non immaginava che avrebbe scoperto – tra le carte del loro defunto padre – di quelle strabilianti rivelazioni destinate a cambiargli la vita. Eppure in mezzo ad appunti ingialliti, copie carbone di lettere, documenti governativi redatti in diverse lingue e vecchi cataloghi d’arte, si celava un segreto che Bernard Goodman aveva gelosamente custodito nelle pieghe della sua esistenza. Difficile dire se L’Orologio di Orfeo (ElectaStorie, pp. 368, euro 19,90) appartenga al genere del romanzo, o non sia piuttosto un dettagliatissimo diario scritto – a tratti lucidamente, a tratti in preda a un turbine emotivo – da Simon Goodman. Inglese di nascita ma discendente da una famiglia ebrea di nazionalità tedesca – Gutmann era il cognome originario –, l’autore è la voce narrante di una storia plurale che riuscirà caparbiamente a ricomporre senza che il padre gliel’abbia mai voluta raccontare.

Ma le vicende di cui Simon viene a conoscenza frammento per frammento, non innescano soltanto un viaggio a ritroso. Le radici ritrovate generano infatti un’ardua e dolorosa battaglia giuridica, che ha per scopo la verità al pari del riscatto morale. Lo scenario in cui si muovono i personaggi spazia dalla Germania di fine XIX secolo all’avvento del nazismo, dai campi di concentramento di Theresienstadt e Auschwitz alle sale di prestigiosi musei americani, passando per terre di esilio quali Inghilterra, Olanda e Italia. Il filo conduttore de L’Orologio di Orfeo è una ricca collezione d’arte iniziata da Eugen Gutmann – fondatore della Dresdner Bank – e proseguita dai figli Fritz e Bernard che dal capostipite avevano ereditato agi e amore per la cultura. E se la tragedia dell’Olocausto colpì un intero popolo senza differenze di classe, una sorte funesta toccò anche al patrimonio artistico dei paesi coinvolti. Confiscati con le maniere forti, sottratti impunemente ai legittimi proprietari da mercanti d’arte senza scrupoli, dipinti, statue, arazzi, argenti e raffinate ceramiche alimentarono l’avida smania di Adolf Hitler e Hermann Göring.

Parzialmente recuperati dai Monuments Men alla fine della Seconda guerra mondiale, alcuni capolavori fecero poi ritorno a casa, non senza ostacoli. A quasi cinquant’anni di distanza, di questa missione si farà carico anche Simon Goodman. Schiacciato ma non vinto dal ricordo dei suoi antenati, con la penna in una mano e una lacrima nel pugno, Simon andrà alla ricerca delle opere di Degas, Renoir e Botticelli, che un tempo allietavano lo sguardo dei suoi nonni nella residenza olandese di Boosbek. Con una scrittura che trabocca di particolari e per questo non sempre agevole, Goodman conduce il lettore attraverso le peripezie della sua vittoriosa impresa, consegnandogli un messaggio prezioso come l’orologio da tavolo appartenuto al suo bisnonno e che più che una discesa agli inferi segna il ritorno alla luce.