Norberto Bobbio (1909 – 2004) è stato, tra gli intellettuali della sinistra laica, uno di quelli che non ha mai cessato di dialogare con i comunisti e con il marxismo. La comune matrice antifascista e resistenziale, infatti, è rimasta sempre un filo che ha messo in connessione, pur attraverso i molti dissensi, un liberal-socialista ed ex membro del Partito d’Azione come Norberto Bobbio con tanti esponenti della cultura comunista. Oggi molti materiali inediti che documentano questo confronto sono raccolti in un bel volumetto di Donzelli, curato da Cesare Pianciola e Franco Sbarberi (Norberto Bobbio, Scritti su Marx, Donzelli, euro 19,50). Il libro dovrebbe essere letto insieme alla raccolta di saggi di analogo argomento (ma già pubblicati durante la vita dell’autore) che fu curata nel 1997 da Carlo Violi per i tipi degli Editori Riuniti, e che recava l’appropriato titolo: Né con Marx né contro Marx.

Nel confronto di Bobbio con Marx, com’era inevitabile, si intrecciano molto spesso due piani. Da un lato, quello del dialogo con le sinistre comuniste e marxiste, col Pci e anche col più radicale marxismo sessantottino. Un confronto il cui scopo è quello di far comprendere a queste forze il valore della cultura liberaldemocratica, che per l’«azionista» Bobbio deve integrare, e non certo sostituire, la sensibilità per le questioni sociali che è propria delle forze operaie e comuniste.

Questo incontro-scontro, che segna tutta la vita lunga e operosa di Norberto Bobbio, attraversa fasi differenti della storia d’Italia e della sinistra: agli anni Cinquanta risale la polemica con Galvano della Volpe e Palmiro Togliatti sui temi della libertà e del garantismo liberale, consegnata poi alle pagine dell’importante volume Politica e cultura (Einaudi, 1955); negli anni Settanta, poi, la discussione teorica con gli intellettuali comunisti si accende attorno ai temi del socialismo e della democrazia e i materiali, pubblicati dapprima sulla rivista socialista Mondo operaio, sono raccolti in un prezioso volumetto einaudiano, intitolato Quale socialismo? (Einaudi, 1976).

Mancata sintonia

Gli inediti ora pubblicati da Pianciola e Sbarberi ci consentono però di osservare da vicino anche il confronto con le culture politiche più radicali degli anni Sessanta: una interlocuzione che direi più difficile, perché qui il filosofo torinese e i suoi interlocutori parlano due lingue meno compatibili. Per esempio in un appunto del 1969, al quale i curatori danno opportunamente risalto, la critica di Bobbio alla nuova sinistra appare durissima.

Dopo aver ricordato che la scissione del 1921 tra comunisti e socialisti fu un grave errore pagato a caro prezzo Bobbio prosegue: «Sono sempre più convinto che ora, come allora, la nuova sinistra lavora, senza volerlo si capisce (vera e propria eterogenesi dei fini), per la grande reazione». E in un altro appunto dello stesso periodo, seguendo fino all’estremo questo pensiero, annota: «Se negli anni ’20-30 la paura della sovietizzazione ha prodotto Hitler, negli anni ’70 la paura della maoizzazione produrrà un Hitler ancora più spaventoso» (Scritti su Marx). Anche con molte teorie che circolano nell’ambito della nuova sinistra Bobbio non entra in sintonia: Korsch gli sembra molto sopravvalutato, non ha simpatia per Althusser, mentre dedica una maggiore attenzione al suo allievo Nicos Poulantzas, di cui commenta e discute il volume Potere politico e classi sociali. Ma anche qui il giudizio di Bobbio è tutt’altro che simpatetico: «libro difficile, astruso, sofisticato, che alla fine non dà quello che promette».

Il dialogo critico con gli intellettuali marxisti si intreccia con il secondo filone che percorre i testi di Bobbio, quello del confronto diretto con il pensiero di Marx. Le pagine più interessanti, a mio modo di vedere, non sono quelle che Bobbio dedica al Marx filosofo dialettico ma, come era prevedibile, quelle in cui ragiona su Marx come teorico dello Stato.

Sebbene affronti la questione in modo problematico e dubitativo (uno degli articoli raccolti in Quale socialismo? si intitolava proprio Esiste una dottrina marxista dello Stato?) Bobbio giunge tuttavia a dare, del pensiero marxiano sullo Stato, una lettura chiara e netta come è tipico del suo stile intellettuale. Il contributo di Marx alla scienza politica sta, per il filosofo torinese, nell’aver tracciato le linee di una teoria realistica dello Stato, che si contrappone sia alla sua idealizzazione da parte di Hegel sia alle ideologie del giusnaturalismo.

I punti caratterizzanti della teoria marxiana dello Stato sono dunque, per Bobbio, fondamentalmente tre. In primo luogo il rovesciamento del rapporto tradizionale tra Stato e società: lo Stato non è il momento primario, ma è derivato e dipendente dagli assetti della società; «non è la struttura portante ma la struttura portata».

Il nodo dello Stato

In secondo luogo, e così si contesta la posizione giusnaturalistica, lo Stato non è il garante dell’interesse comune o dell’universalità, ma è espressione degli interessi delle classi di volta in dominanti; e perciò, in terzo luogo, lo Stato moderno non può essere inteso altrimenti che come l’apparato che assicura e garantisce il potere della classe dominante, cioè della borghesia capitalistica. Ma Bobbio rileva altresì che, rispetto alla nitidezza anche troppo compatta di questo quadro, la riflessione marxista più recente ha giustamente recuperato un più forte senso della «autonomia del politico» (tema che qua e là affiorava già in Marx) che non può essere inteso come «un puro e semplice riflesso di quello che avviene nella sfera dei rapporti di produzione».

Ciò nondimeno, nell’ultimo degli inediti ora pubblicati, una lettera del 1991 a Paolo Sylos Labini, il realista Bobbio ribadisce che, tra le tesi di Marx che «mantengono la loro forza dirompente», vi è quella che afferma il primato dell’economia sulla politica e sull’ideologia, un primato che si può constatare continuamente, scrive Bobbio, «anche nelle nostre libere democrazie», e che – possiamo aggiungere – le vicende dell’ultimo ventennio hanno continuato inflessibilmente a confermare.