Lo scaffale della Nouvelle Vague è affollato di ponderosi volumi che si propongono di approfondire il fenomeno destinato a rimbalzare nelle cinematografie di tutto il mondo. Ma nessun altro come questo riesce a suggerire in una manciata di pagine (pp.60, euro 10,00, con un saggio di Goffredo Fofi) il diagramma essenziale di quello che è stato uno dei movimenti più vivaci del cinema contemporaneo sulla soglia della modernità. Se a Parigi la Cinémathèque di Henri Langlois è il punto di riferimento in cui giovani e giovanissimi scoprono la propria vocazione l’ufficio di André Bazin al numero 5 di Rue des Beaux-Arts è la sede di Travail et Culture che organizza le proiezioni della vasta rete di cineclub, dove si ritrovano i primi discepoli, da Alain Resnais a Chris Marker, da Alexandre Astruc, il teorico della «caméra-stylo», a Janine Kirsh, la futura signora Bazin. Il più inquieto è il diciassettenne François Truffaut che ben presto accompagna André nelle scuole, nelle fabbriche, nei club della banlieue in cui si infiamma la passione per il cinema prima della tournée in Francia e in Europa. Il movimento dei «cinéphiles» accentua la popolarità del critico, attivo su quotidiani e settimanali, ma a lungo fedele a «Esprit».

La collaborazione al mensile del cattolico Emmanuel Mounier non gli impedisce di ispirarsi alla concezione sartriana dell’immaginario per «Ontologia dell’immagine fotografica», il primo importante saggio su cui si fonda la sua teoria del cinema della realtà. Ma quando esce «Quarto potere» di Welles, e Jean-Paul Sartre lo stronca perché troppo letterario e manieristico, la reazione di Bazin è immediata e senza sconti. La politica degli autori, l’attenzione al cinema americano, il dibattito sul realismo sono al centro dei «Cahiers du Cinéma», la rivista che debutta nel 1951, rinnovando profondamente il panorama della cultura cinematografica degli anni a venire. Diretta da Bazin e Jacques Doniol-Valcroze, vi scrivono Eric Rohmer, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, François Truffaut, Claude Chabrol, Pierre Kaste, che non nascondono il gusto della polemica e la diversità di opinioni. Certo, Rossellini, De Sica, Fellini sono tra gli ospiti privilegiati della «serie gialla» come Renoir, Bresson, Chaplin, Wyller, Welles restano gli autori di Bazin. Ma Hawks, Hitchcock, Preminger, Ray, Ford occupano sempre più spazio soprattutto ai preziosi «entretiens», altrettanti interrogatori affettuosi e implacabili a cui i redattori li sottopongono.

Quando l’11 novembre 1958 André Bazin se ne va a quarant’anni sopraffatto dalla tubercolosi, la generazione della Nouvelle Vague, dopo aver animato le pagine della rivista, è ormai sul set. Chabrol con «Le beau Serge», Godard con «Fino all’ultimo respiro», Truffaut con «I quattrocento colpi». Il numero di gennaio ’59 dei suoi «Cahiers» gli è dedicato con gli scritti degli amici e le testimonianze dei cineasti, tra cui spicca quella di Buñuel: «Adorava gli animali, viveva circondato da un piccolo serraglio. Guardava questi esseri con un sorriso tenero e ironico, con un sorriso d]i bambino che neanche i bambini conoscono».