Si fermi qui è il racconto della normalità. Il dato particolare è che il libro sia una specie di giallo; che racconti della normalità quando viene a mancare, e quando vi si desidera tornare: procura nostalgia proprio come la libertà se si viene chiusi nel braccio della morte di un carcere Usa. Inevitabile il pensiero a Joseph K, procuratore presso un istituto bancario, del Processo di Franz Kafka.

JEFFREY SUTTON però, il tassista di mezza età protagonista del libro di Iain Levison (edizioni e/o, pp. 208, euro 17), conosce il reato che gli viene ascritto e sa di essere innocente. Bastano poche pagine per condurlo in prigione, sospettato di aver rapito una ragazzina. Ma in carcere i pedofili rischiano la vita ed è per proteggerlo, diciamo, che viene inviato nel braccio della morte del penitenziario di Dallas.
Il libro prosegue da lì. Un’ora di aria al giorno. Avvocato di ufficio. Una sfortuna che mai. Un equivoco gigantesco – pensa Jeffrey Sutton con la certezza di uscirne rapidamente: giusto il tempo di fare chiarezza. La sensazione crescente, invece, che forse non sarà così. E poi, sempre più marcata, l’impressione surreale di essere finito in un gioco di cui non si conoscono le regole e in cui non si ha voce in capitolo perché la realtà del sistema giudiziario americano «è molto diversa da quella che si vede nelle serie tv»: così capisce dopo un po’ Jeffrey, detenuto innocente in attesa di giudizio che in carcere ha per amico un killer seriale piuttosto simpatico e un po’ saggio.

UNA STORIA RACCONTATA con una lingua semplice e precisa: «I giorni si confondono. Mi chiedo se sto impazzendo. Come faccio a saperlo? Sono la persona più sana di mente che conosco, ma orami la mia unica compagnia è uno psicopatico fatto e finito. I modelli di riferimento sono stati piegati e distorti, ciò che ieri era follia oggi è normalità». Si fermi qui, infatti, racconta della normalità attraverso la sua privazione: «Sono un uomo di trentasei anni in salute che trascorre le sue giornate in pochi metri quadrati, seduto e in piedi, pregando che arrivi la notte per sdraiarmi, indisturbato e inconsapevole».
Ma questo è l’inizio perché poi, in carcere, un mondo si reinventa, particolari infinitesimali acquistano concretezza insieme alla consapevolezza che la vita «di fuori» svanisce: «È da parte del suo padrone di casa – spiega a Jeffrey l’avvocato di ufficio, lo stesso che gli ha appena detto ’non credo che ci sia abbastanza materiale da convincere la giuria a concederle un ragionevole dubbio’ – non paga l’affitto da quattro mesi, quindi l’ha sfrattata». Semplice ed essenziale: come il sistema giudiziario che stritola l’individuo e ne nega i diritti fondamentali, come gli altri avvocati, squali pronti ad aiutarlo in cambio di una robusta percentuale del risarcimento che otterrà dal distretto.

IAIN LEVISON è nato in Scozia nel 1963 dove si è laureato in lingua e letteratura inglese. Il suo libro più noto è Ammazzarsi per sopravvivere, le infinite fatiche di un precario americano – edito in Italia da Socrates nel 2009 – scritto ispirandosi alla sua vita. Anche Si fermi qui – tradotto adesso da Aurelia Di Meo – è scritto ispirandosi a una vicenda reale: nel 2002 Richard Ricci viene accusato, innocente, di essere il rapitore della dodicenne Elizabeth Smart.
Al carcere si aggiunse – come per Jeffrey Sutton – una aggressiva campagna stampa, con presentatori televisivi che invocavano la legalizzazione della tortura per farlo confessare e capire dove nascondesse la ragazzina. Levison parte da qui per un racconto senza pietà – e senza riscatto – sul sistema giudiziario e il ruolo dei media.