“Un quadro inquietante”, ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ma del quadro ormai non è rimasta nemmeno la cornice. Il sud Italia fotografato dal rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno è un deserto, non solo di opportunità o di produzione industriale o di mancati investimenti. Peggio. E’ il luogo più povero del paese (il 20% delle famiglie siciliane vive con meno di 1000 euro al mese); è un posto da dove si emigra come negli anni del dopoguerra (negli ultimi venti sono emigrate al nord 2 milioni e 700 mila persone); è una zona depressa dove le nuove povertà sono così povere che tornano in mente le immagini in bianco e nero e le valigie di cartone. Niente di nuovo però. E’ assurdo prendere coscienza di una situazione così drammatica una volta all’anno sfogliando un rapporto, ed è fastidioso lo sgomento bipartisan, con annesse ricette per “uscire dall’emergenza”, che si leva alto tra i politici mentre il sud è mortificato da anni. Sono “dati orribili”, è “un pugno nello stomaco”, e “intollerabile”… E il 2014 si annuncia altrettanto complicato: il Pil al sud crescerà dell’0,1% contro lo 0,9% del centro nord, significa rimanere sganciati anche dalla presunta ripresina del prossimo anno.

Resta qualcosa da fare? E può farlo, in piena crisi economica e senza lo straccio di un’idea per ripartire, un governo che al massimo può vantarsi di aver dato una mancia di 14 euro in busta paga (a chi ce l’ha)? Il capo dello stato , per dire solo del commento più autorevole e desolato, ha scritto una lettera al presidente della Svimez. Preso atto della disperante realtà, il presidente indica due strade da percorrere. Sembra una preghiera. Prima, “l’avvio di un nuovo processo di sviluppo nazionale che trovi una solida base nelle grandi energie e capacità umane presenti nel meridione”, poi, “una riqualificazione delle stesse istituzioni, che permetta di superare diffuse inefficienze e di assicurare la realizzazione di politiche nazionali ed europee dirette alla crescita dell’economia e dell’occupazione”.

Ben detto, ma se il quadro è questo forse non basta. Solo nel primo trimestre del 2013 il sud ha perso 166 mila posti di lavoro rispetto all’anno precedente: significa che la quota di occupati è scesa sotto la soglia di 6 milioni, come nel 1977. Nel 2012 il tasso di occupazione in età 15-64 è stato del 43% (nel centro-nord 63,8%), mentre il tasso di disoccupazione ufficiale, evidentemente sottostimato, è stato del 17% (il dato reale sarebbe vicino al 30% di disoccupati). Per gli under 35 anche il dato ufficiale è di per sé spaventoso: 28,5%. Fra gli inattivi, il 33,7% è diplomato e il 27,3% ha una laurea. “Non è mai stato così drammatico il dato sull’occupazione”, ha commentato Jacopo Morelli, presidente dei Giovani imprenditori.

Da qui a darsi alla fuga il passo è breve. Solo nel 2011 si sono trasferiti nel centro-nord 114 mila abitanti (quasi un migrante su quattro si è trasferito in Lombardia, segue il Lazio). Molti hanno deciso di espatriare, circa 50 mila persone, quindi 10 mila in più rispetto al 2010 e quasi il doppio rispetto a dieci anni fa. Non per niente il rapporto Svimez parla di “desertificazione industriale del sud”, a dispetto delle politiche Ue per le regioni svantaggiate: altrove funzionano, in Italia invece non riescono nemmeno a partire. Germania e Spagna, per esempio, dal 2001 al 2007 hanno fatto crescere il valore aggiunto industriale delle loro regioni povere rispettivamente del 40 e del 10%: in Italia non si è mosso un punto! E insieme alla produzione industriale scendono i posti di lavoro (-24%) e gli investimenti (-47%).

Altra spia di allarme, il Pil in caduta libera. Nel 2012 è calato del 3,2%, più di un punto percentuale rispetto al centro-nord dove la crisi morde come non mai (-2,1%). Dal 2007 al 2012, il sud ha perso 10 punti percentuali di ricchezza, quasi il doppio del centro-nord (-5,8%). Tutte le regioni italiane hanno il segno meno, ma la forbice oscilla tra il -4,3% della Sicilia al -1,7 di Lombardia e Lazio. In valori assoluti, inganna il Pil calcolato a livello nazionale (25.713 euro), perché è il risultato della media tra i 30.073 euro del centro-nord e i 17.263 del Mezzogiorno.

In questo contesto, i consumi finali interni del 2012 nel sud non possono che essere crollati: -4,3%. Sono in forte calo anche quelli delle famiglie: -4,8% contro il -3,5% al centro-nord. Complessivamente, negli anni che vanno dal 2008 al 2012 i consumi delle famiglie meridionali sono sprofondati del 9,3%, quasi tre volte in più che nel resto del paese. I cittadini sono diventati più poveri ma anche più tartassati: dal 2007 al 2011 al sud la pressione fiscale è aumentata per effetto dei piani di rientro sanitario, e nonostante ciò è diminuita la spesa pubblica corrente.

Visto il titolo, è ministro alla Coesione territoriale, Carlo Triglia ha dovuto dire qualcosa di sensato e di prospettiva rispetto al disastro sociale ed economico fotografato dal rapporto Svimez: “Non dovrà più essere sprecato un euro sui fondi disponibili per il sud, e il governo dovrà avere il potere di controllo sul loro utilizzo e di sanzionare le amministrazioni che non rispettano gli impegni”. I fondi previsti per il nuovo piano di programmazione (2014-2020) ammontano a 100 miliardi di euro.