Si chiama Ali Wazir e ha 31 anni. Viene da Hasakeh, una delle principali città del Rojava, in questi giorni al collasso per l’arrivo di decine di migliaia di sfollati dalle comunità al confine colpite dall’operazione militare turca.

Ha due figli, uno dei sei e uno di due anni. Alle 5.30 di ieri mattina ha lasciato la casa del fratello a Ginevra, ha raggiunto la piazza di fronte alla sede dell’Unhcr, l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu, e alle 7.40 si è dato fuoco. È la ricostruzione dell’autoimmolazione di un rifugiato curdo-siriano riportata dall’agenzia curda Anf.

Non ha lasciato messaggi né parlato con nessuno delle sue intenzioni. Un «movente» ufficiale non c’è, ma Ali – che vive da quattro anni in Germania – potrebbe essere l’ultimo caso di una serie di suicidi scelti nei decenni passati da molti curdi come estremo atto di protesta politica.

Ali è stato subito portato all’ospedale Lausanne University con un elicottero, le sue condizioni sono gravissime: ha ustioni sull’80% del corpo.

«Mi sono svegliato per le urla che arrivavano dalla strada – ha raccontato un residente a 20Minutes – Ripetute urla di dolore. Ho visto che qualcosa stava accadendo fuori dall’Unhcr. C’erano macchine della polizia, un’ambulanza, i vigili del fuoco. Poi ho visto un uomo su una barella».

A stretto giro parla anche l’Alto commissariato Onu: «Siamo tristi e sotto choc per l’autoimmolazione accaduta di fronte al nostro quartier generale di Ginevra – ha dichiarato il portavoce, Andrej Mahecic – Hanno spento il fuoco e salvato la sua vita. Speriamo si rimetta. I nostri pensieri fanno a lui, alla sua famiglia e ai suoi cari».

Davanti agli uffici dell’Unhcr c’è un centro di accoglienza per richiedenti asilo. Molti di loro sono curdi siriani, alcuni hanno assistito alla scena: «Una fiamma umana. Non penso possa sopravvivere».