L’appuntamento è su skype. Didier Faustino è a Lisbona, dove sta aprendo un nuovo atelier, uno spazio di 500 mq ricavato in un edificio industriale, vicino alla zona dell’Alcantara, in cui ci saranno postazioni di lavoro, un’ampia biblioteca, alcune delle sue installazioni e presto anche uno spazio espositivo. Didier ha la doppia nazionalità portoghese e francese, Lisbona è la sua città d’origine, ma la sua vita è a Parigi.

«HO SEMPRE fatto avanti e indietro con il Portogallo, ma in questo periodo sono cresciute le committenze e ho pensato che aprire una base anche qui fosse un’opportunità – racconta -. Lisbona negli ultimi anni è diventata una delle città europee più vivaci dal punto di vista culturale. C’è una grande energia, gli studi non costano molto, c’è un’ottima qualità della vita e siamo vicini all’Oceano. Lo scorso anno, poi, l’apertura del museo Maat, diretto da Pedro Gadanho, ha aumentato l’attenzione internazionale. Mi piace l’idea di costruire un arcipelago definito da molti spazi, un atelier diffuso a livello geografico, perché non credo sia più necessario centralizzare, l’Europa è un grande paese collettivo, di cui tutti noi dovremmo fare esperienza, non solo i giovani».

D’altra parte, Faustino ha sempre fatto del nomadismo un punto centrale della sua ricerca; nomadismo tra le discipline soprattutto, alla ricerca di uno «spazio interstiziale» in cui possano dialogare arte, architettura e design, verso un’opera totale in continua evoluzione. Nel 2002 ha fondato a Parigi il Bureau des Mésarchitectures, utilizzando un termine di invenzione, che è un omaggio all’Anarchitecture di Gordon Matta-Clark e, al contempo, un gioco di parole: Més Architectures significa «le mie architetture», in francese.

FracCentre-Biennale©Ludovicletot164
L’INTENZIONE è da subito chiara, rompere gli equilibri della disciplina architettonica, spingerne i limiti, anche grazie alla contaminazione con altri linguaggi. Il suo ultimo lavoro è in mostra alla prima Biennale d’Architecture d’Orléans, curata da Abdelkader Adami e Luca Galofaro con il titolo Marcher dans le rêve d’un autre, che si svolge in vari luoghi della città francese e nei suoi dintorni. All’interno di questa esposizione diffusa, la sua installazione trova spazio dentro una chiesa sconsacrata, la Collégiale Saint-Pierre-le-Pullier, insieme alle opere di alcuni tra gli autori più sperimentali degli ultimi anni, come Bernard Khoury, Aristide Antonas, Obra.
«Tomorrow’s Shelter è una visione utopica o forse distopica – spiega Didier Faustino – Ho immaginato una struttura abitabile ed estendibile, una concatenazione di spazi che potranno essere usati come rifugio, all’indomani di una possibile catastrofe, generata dal riscaldamento globale. Ciascuno spazio è pensato per un caso diverso, con caratteristiche tipologiche adattabili a condizioni differenti. Se il mondo finirà avremo un riparo in cui proteggerci e iniziare una nuova vita, accompagnata da una nuova coscienza».

LA BIENNALE, che ha la sua sede principale dentro il Frac Centre – Val de Loire, è anche un invito a dialogare con gli autori presenti nella straordinaria collezione del museo. È un incontro tra passato e presente, per rileggere la storia, creando scambi e relazioni tra architetti appartenenti a diverse generazioni, attraverso lo spazio mentale e l’immaginazione. «Una delle mie fonti d’ispirazione è Claude Parent, grande sperimentatore scomparso di recente. In particolare, ho guardato alla fonction oblique, che lui teorizzò con Virilio nel 1964. Questo suo concetto sviluppato intorno allo spazio, mi conduce al pensiero obliquo che permette di aggirare simbolicamente quello tradizionale, ne mette in discussione la stabilità, è geometricamente adattivo e lascia spazio ai dubbi». L’installazione presentata alla Biennale si compone di tre grandi modelli, un disegno e tre fotografie, «è un oggetto puramente mentale, per via della scala in cui è stato realizzato. È uno spazio che aspetta di essere occupato da un corpo, per essere addomesticato e reso abitabile».

IL RUOLO DEL CORPO in tutta la sua opera è centrale, è necessario per attivare le sue opere artistiche, così come i suoi progetti di architettura, anche i più visionari, che spesso diventano luoghi performativi. Ma il corpo non è solo quello fisico o individuale, «è soprattutto soggetto collettivo. Credo che l’architettura sia un’arma, un sistema che può essere efficace sulla società, può incidere. Disegno lo spazio in modo che possa essere operativo, capace di cambiare o alterare le regole. L’architettura può aiutarci a uscire dai condizionamenti della società, per trovare nuovi equilibri e relazioni. Ho sempre detto che l’opera è un atto di resistenza. Senza dubbio questa visione appartiene maggiormente a una fase della mia vita in cui ero focalizzato su una produzione di tipo artistico che mi offriva più ampia libertà di azione».

L’ARCHITETTURA COSTRUITA sta trovando di nuovo un posto centrale nella sua attività, in questi ultimi due anni. Sarà interessante vedere come i diversi campi disciplinari possano continuare a influenzarsi reciprocamente, per permettere che anche l’approccio più eversivo e sperimentale tipico dell’arte possa trovare la giusta collocazione in architettura. «In questi giorni – continua Faustino – sta partendo il cantiere per un Art Center a Città del Messico, stiamo concludendo due ristoranti in Belgio, una casa per tre famiglie in Costa Rica e un’abitazione in Portogallo. Sono nella fase bellissima in cui tutta la sperimentazione artistica, l’esplorazione e lo studio di nuove strategie finalmente trova applicazione nella realtà».