Quando la quantità di nozioni indispensabili su un dato argomento si può racchiudere in una tasca, allora forse davvero si è raggiunto lo scopo potenziale di informare quanto basta ogni tipo di lettore (indipendentemente dai gusti, dalle età e dalle fonti abituali), e di non lasciar più spazio o indulgenza all’ignoranza.

QUESTO È QUANTO di auspicabile potrebbe fare il Piccolo Atlante dell’Africa (Edizioni Clichy, pp. 151, euro 12.00, collana «Bastille – Saggi»), agile nel formato e scorrevole nella trattazione ma assolutamente rigoroso nel ricostruire, necessariamente per sommi capi, la millenaria storia di un continente multiforme e complesso, che troppo semplicisticamente viene interpretato dal di fuori come entità unica e immutabile (invogliando, eventualmente, ad ulteriori successivi approfondimenti).

Con la forza e l’intelligibilità cristallina dei numeri e delle statistiche, questo piccolo libello ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che il gigante posto ai piedi dell’Europa è composto in realtà da cinquantaquattro stati, con una grande varietà di etnie, lingue, culti e religioni e con la più giovane popolazione al mondo (basti pensare che in Niger il 50% dei suoi abitanti ha meno di 15 anni, che secondo l’Onu nel 2050 quasi il 26% dell’intera popolazione mondiale vivrà in Africa e la Nigeria sarà il terzo paese più popoloso della terra dietro soltanto a India e Cina), ma per una buona parte di essa l’accesso alle cure mediche e all’educazione è scarso e la scolarizzazione frammentaria, carente e spesso inadatta al mercato del lavoro. Ambiguo il ruolo delle donne, che se da un lato sono il motore della società e del progresso e si registra un’alta e incoraggiante presenza femminile nei parlamenti dei singoli stati, dall’altro sono ancora sottoposte a vincoli di sfruttamento, arretratezza e violenza, quando non a vere e proprie forme di schiavitù e tratta.

PARTENDO da lontano, dall’homo sapiens di più di duecentomila anni fa, e poi solo suggerendo le prime civiltà faraonica e nubiana e gli antichi regni, passando per le invasioni e dominazioni musulmane, berbere e ottomane, i colonialismi europei, la tratta atlantica e le lotte di indipendenza, l’atlante arriva alle forme di capitalismo maturo odierne, riconducibili spesso a vere e proprie pratiche di neo-colonialismo caratterizzate da politiche di sostegno (o ingerenza) perverse e diffuse, denunciando senza mezzi termini le piaghe contemporanee del land grabbing e della spartizione iniqua (quando non sciacallaggio) delle risorse, le disuguaglianze in continua crescita e i tassi di disoccupazione, corruzione e criminalità tra i più alti al mondo, che portano ai tristemente noti fenomeni di migrazione per la sopravvivenza, riconfermandosi strumento prezioso per capire meglio il mondo interconnesso in cui viviamo.