Alla fine l’Europa delle poltrone ha trovato la quadra: Federica Mogherini occuperà il posto di «lady Pesc» e Donald Tusk quello di «Mr president Ue». Tutti felici e contenti, soprattutto in Polonia, dove la stampa sta incensando l’ascesa del proprio primo ministro alla presidenza del Consiglio europeo.

Tra l’altro, non è un mistero che sia stato Tusk in luglio a mettere i bastoni tra le ruote alla Mogherini per aggiudicarsi la nomina ad alto rappresentante della politica estera europea. Alla Polonia e ai Paesi Baltici (Lituania, Estonia, Lettonia) non garbava l’atteggiamento «filo-russo» della ministra degli esteri italiana, considerata inesperta e poco incline a venire incontro agli interessi dei Paesi dell’Europa centrale e dell’Est.

La nomina di Tusk sulla poltrona di «Mr. President» spegne gli appetiti di Varsavia che vuole giocare un ruolo di primo piano in Europa e accontentare Roma dando il via libera alla Mogherini. Le malelingue dicono che abbia passato le ultime settimane a studiare in maniera intensiva l’inglese (lingua che non mastica bene), in compenso sa parlare fluentemente il tedesco, ed è quello che conta nell’Europa di oggi a trazione tedesca.

Nato a Danzica nel 1957, dove ha conseguito anche la laurea in storia, fin da giovane partecipa all’attività di opposizione contro il regime comunista. Dopo il crollo del regime è stato uno dei fondatori del Congresso liberal-democratico, del quale diviene presidente nel 1991. Nel 2001 – insieme a Plazynski ed Olechowski – fonda il partito Platforma obywatelska (Piattaforma civica, Po) di ispirazione liberal-conservatore.

Per molti anni Donald Tusk rimane dietro le quinte del proscenio politico nazionale, almeno fino al 2005, quando si candida alla presidenza della repubblica contro l’ultraconservatore Lech Kaczynski. Viene sconfitto, ma dopo appena due anni si riprende la rivincita sconfiggendo i «gemelli terribili» – Lech e Jaroslaw Kaczynki, che occupavano la carica presidente della repubblica e premier – alle elezioni politiche del 2007. Da lì in poi, Tusk non mollerà più la poltrona di primo ministro, accreditando il suo partito agli occhi dell’opinione pubblica come unica forza politica capace di fermare il nazionalismo populista dei Kaczynski.

Per 7 anni il suo conservatorismo «business friendly» ha garantito alla Polonia una crescita economica senza pari rispetto agli acciacchi della vecchia Europa, a cui però non è corrisposto una redistribuzione della ricchezza. Troppe lobby intorno al successo politico di Tusk e Po, troppi favori agli amici degli amici. E alla lunga tutto ciò si paga. Lo scorso giugno la stampa polacca pubblica delle registrazioni che hanno per protagonisti alcuni ministri del suo governo e il governatore della banca centrale. Saltano fuori tanti scheletri nell’armadio e Tusk è costretto a ricorrere al voto di fiducia per spegnere l’incendio.

La sua popolarità è ai minimi storici in Polonia, e il suo partito rischia di perdere le elezioni politiche del 2015 contro l’avanzata della corazzata Kaczynski. Forse anche per questo la poltrona europea gli avrà fatto gola.