Procede per ellissi inaspettate, inquietanti immagini Un confine incerto di Isabella Sandri (sezione After hours) in accordo con la tematica principale del film, la caccia al pedofilo. Ma il confine è incerto e lei, veneta di Rovigo dalle montagne non troppo distanti si aggira bene tra i misteri delle foreste ricettacolo di fiabe paurose. Il rapimento avvenuto già da tempo di una bambina scomparsa da parte di un tipo che la porta con sé su un camper come fosse la sua ragazza, la fotografa, invia le sue foto e i suoi filmati in rete a indirizzi particolari è infine individuato da un’agente della polizia postale, che ricostruisce a fatica voci, brani e situazioni. Ma ogni scena e ogni sviluppo di racconto invece di descrivere e accompagnare per mano lo spettatore verso un rassicurante finale, fanno esplodere la situazione con l’effetto imprevisto di un gesto, di una sensazione trattenuta, tutto il possibile non detto, così che i lati oscuri investono anche tutti i personaggi in scena, dai vissuti poco chiari, dal passato che ritorna forse in maniera speculare.

CERTAMENTE anche la poliziotta che scruta il computer alla ricerca di indizi utili avrà avuto qualche trauma non risolto. Occhi sgranati fissano lo spettatore per chiamarlo in causa, interpretazioni intense non disperdono la tensione (Anna Malfatti, Moisè Curia, Cosmina Stratan con qualche intervento di Valeria Golino nella parte di una psicologa-coscienza).
La bambina nelle fauci di un lupo dall’aspetto giocoso di un circense un po’ fuori di testa, di un arlecchino poco raccomandabile, ha le sue difese, le sue vie di fuga: come nei riti di iniziazione di diverse tribù studiate dagli antropologi in cui giovani sono lasciati soli nel bosco a passare le notti buie per affrontare ritualmente i pericoli che li aspettano nella vita, così uno dei sottotesti del film allude anche a una sorta di libertà anarchica, di illusione di libertà.

Lei accetta i giochi per adulti, ne individua altri, nei disegni fa esplodere tutto il muto disagio, nei suoi pochi oggetti proietta affettività. Ma la ferocia con cui procede il tema della pedofilia organizzata, la rete ignobile e internazionale non lascia troppo spazio alle vie di fuga: gli accenni alle pratiche spaventose, le indagini coordinate, il sostegno psicologico, tutto quello che non si deve mostrare è messo in scena con una abilità rara nell’usare non il grido di allarme, ma la complessità delle situazioni (e l’incrocio delle lingue, in particolare l’uso del ladino, una lingua di pochi, con il tedesco, il romeno servono ad allargare le proporzioni della vicenda). Ci sono voluti almeno otto anni per portare a termine da parte della regista, grande documentarista e vincitrice di innumerevoli premi (il primo proprio a Torino Giovani nel 1990 per Calcinacci), autrice di lungometraggi come Il mondo alla rovescia, Animali che attraversano la strada, cosceneggiatrice e coproduttrice dei film di Giuseppe M. Gaudino.

«NEL FARE questo film, dice Isabella Sandri, ho lavorato a lungo sulla documentazione e sono stati anni pieni di dolore. Ho avuto l’aiuto di Save the Children che ha un collegamento con 45 nazioni. È incredibile come certi paesi possano ospitare fino a 80 mila immagini pedopornografiche e sono paesi nella civile Europa, pur trattandosi di crimini. Ho avuto anche l’aiuto della polizia postale, con agenti dai turni massacranti. Ci sono anche le morti, cose che non possiamo neanche immaginare. Dal 2011 poi internet è cambiato, prima i siti erano facilmente individuabili, oggi con il dark web in cui agiscono i criminali e possono passare mesi per sfondare quel muro. Scompaiono 8 milioni di bambini all’anno nel mondo, in Italia uno ogni due giorni».

LE DIFFICOLTÀ del film sono derivate anche dal fatto che certi paesi non volevano essere coinvolti dalla tematica, che gli attori hanno dovuto imparare il ladino e ci sono stati anche difficoltà per le musiche: «Abbiamo lavorato sulle musiche per due anni perché non trovavamo un tema eticamente corretto per questo film». Il sottotesto di Peter Pan che rapisce i bambini e li porta in un’altra dimensione è quasi suggerito da Moisè Curia che interpreta il rapitore tra gioco e follia: «Anche lui è un bambino, cerca nella bambina una via di fuga, perde la cognizione delle cose. Ho cercato di portare alla luce la mia parte bambina. Più di uno che faceva violenza ho cercato di ricreare un rapporto di gioco».