Mercoledì sera a La gabbia il rito del giornalista genuflesso, di casa alla televisione italiana pubblica e privata, ha avuto una delle sue più riuscite celebrazioni. Ad officiare Gianluigi Paragone, passato a La7 dopo avere esordito come conduttore di talk sulla seconda rete nel 2009 (in ‘quota’ Lega, proveniva infatti dalla direzione de la Padania).

Oggi, non più leghista, sembra abbia abbracciato il credo grillino. Lo si è capito nell’interminabile intervista (si fa per dire) a Di Battista che ha aperto l’ultima puntata del suo programma: il simpatico Dibba ha parlato quasi ininterrottamente per tre quarti d’ora, insomma un’eternità, di fronte ad un interlocutore che o faceva scena muta o offriva assist del tipo «allora vi sentite nel mirino» (ripetuto con originalità in più passaggi).

Il tempo di parola di Paragone è stato meno di due minuti.

Per il resto l’altra sera abbiamo assistito ad un monologo di un politico che non veniva interrotto, cui non veniva fatta nessuna domanda impertinente, o imbarazzante, magari del tipo: ma perché una parte del vostro movimento protesta contro la scelta di fare lo stadio? questa scelta non è un po’ in contraddizione con le vostre battaglie? non sono un po’ troppe le defezioni della giunta Raggi in soli otto mesi di governo? perdere una personalità come Berdini, al netto delle sue dichiarazioni comunque un simbolo della battaglia contro i palazzinari, non è un vistoso autogol?

Niente di tutto questo: Paragone rimaneva sdraiato (giornalisticamente parlando) sulle affermazioni del pentastellato e non profferiva parola alcuna per lunghissimi intervalli. Le sue interruzioni, piuttosto flebili, quasi timide, erano lì ad asseverare i ragionamenti del politico e non a metterlo in difficoltà o a fare emergere qualche «verità nascosta».

Il risultato era uno spazio enorme, quasi 45 minuti, in cui l’esponente dei Cinquestelle poteva tenere un vero e proprio telecomizio, in barba a qualsiasi regola di correttezza informativa, equilibrio, giornalismo non accondiscendente.

Ricordiamo le polemiche riservate a Santoro negli anni della sua «militanza» televisiva: arruffapopolo, fazioso, comunista, etc…; eppure il giornalismo di Santoro, censurabile o no, non fece mai sconti alla sua «parte politica», se così possiamo dire, a quella sinistra cui egli ha fatto sempre riferimento. Anzi fu proprio quella sinistra ad attaccarlo in più occasioni sentendosi messa sotto accusa.

Il giornalismo della Gabbia di quel formato di talk politico è solo un malinconico epigono, però l’altra sera nel programma si è scritta una brutta pagina d’informazione: il cane da guardia era diventato un docilissimo barboncino, tanto che al paragone perfino il criticato Vespa poteva figurare come un pitbull da combattimento.