Senza l’intervento dello stato a fine anno, ai cento comuni della Sicilia già in dissesto se ne potrebbero aggiungere altri 200 che non sono nelle condizioni di approvare i bilanci entro il 31 dicembre. L’allarme è arrivato mercoledì dall’Anci Sicilia che ha poi portato a Roma 150 sindaci per discuterne con le ministre Gelmini e Lamorgese e lo staff del Mef. In Italia è in condizione di dissesto o pre-dissesto finanziario un comune su otto: 1.083 su 8.389. La Valle d’Aosta e il Friuli sono le uniche regioni che non hanno enti in dissesto o riequilibrio. Il Mezzogiorno è l’area che soffre di più ma, ad esempio, Torino dichiara uno squilibrio di 2,9 miliardi.

Al 31 dicembre 2020 erano 683 gli enti in default: la Calabria maglia nera con 193 comuni, quindi la Campania (173), la Sicilia (80) e il Lazio (53). Su questo panorama desolante è piombata la sentenza della Corte costituzionale dello scorso aprile che ha dichiarato incostituzionali le norme che hanno consentito di spalmare i debiti degli enti su 30 anni. Per evitare il fallimento a catena di 326 comuni il governo ha dovuto stanziare 660 milioni, il 37% alla sola Napoli (246,5 milioni), seguita da Torino (111,9 milioni). Soldi che sono serviti solo a tappare la falla provocata dalla sentenza.

Nella manovra di bilancio 2022, per adesso, c’è il finanziamento presso il ministero dell’Interno del fondo per le regioni in procedura di riequilibrio con una posta pari a 300 milioni per l’anno prossimo (50 milioni per i soli comuni di Siciliana e Sardegna) e 150 milioni per il 2023. Il fondo sarà attivo anche per i comuni con meno di 5mila abitanti. Una goccia nel mare rispetto ai debiti degli enti locali. L’unico altro intervento certo è l’accollo dei debiti da parte dello Stato: la misura consentirà di rinegoziare gli interessi, facendoli calare da oltre il 4% a circa l’1%. Importante ma non risolutivo.

Napoli, ad esempio, ha un debito di 2,7 miliardi che sale a 4,7 con le partecipate. La macchina comunale è ridotta all’osso: 4.500 dipendenti, meno della metà di Milano; solo 33 dirigenti a tempo indeterminati, nessuno di area tecnica. Dopo aver incassato l’appoggio di Pd e 5S per cercare soluzioni in parlamento nella prossima Finanziaria (ma per ora nel testo non c’è nulla), ieri il sindaco Gaetano Manfredi si è detto ottimista: «L’interesse di tutti è dare risposte ai cittadini, non ai sindaci. C’è un impegno della politica e del governo per lavorare a una soluzione. Non è una battaglia di una parte politica, abbiamo la necessità di mettere tutte le aree del paese nelle condizioni di poter ripartire e di garantire diritti uguali a tutti i cittadini e di farlo con diritti e doveri».

Manfredi ha chiesto un commissario che gestisca il debito pregresso (alcune poste risalgono al 1980) per liberare la cassa; un intervento tra i 100 e i 200 milioni l’anno per la spesa corrente; almeno mille unità tra personale tecnico per il Pnrr, informatici, vigili urbani, impiegati, dirigenti. La contrattazione è in corso. Non ci sarà una norma per la sola Napoli ma una misura per tutte le amministrazioni in difficoltà. I comuni saranno rafforzati anche perché altrimenti sarà impossibile spendere i fondi del Pnrr, ma non sarà indolore. In cambio saranno chieste riforme: partecipate, personale, patrimonio o entrare, si dovranno fare delle scelte. Il primo scalpo potrebbero essere i servizi comunali da mettere sul mercato, come il dl Concorrenza ha già annunciato.