Anche se alla fine ha prevalso un compromesso, Angela Merkel può dirsi soddisfatta. Il congresso della Cdu che si è aperto ieri a Karlsruhe avrebbe potuto segnare se non la fine, almeno l’inizio della parabola discendente della cancelliera, contro la quale in questi mesi si è creata una fronda interna al partito, spalleggiata dai cugini della Csu bavarese, contraria alla sua politica delle «porte aperte» nei confronti delle centinaia di migliaia di migranti siriani giunti in Germania.
Gli oppositori avrebbero voluto imporre un tetto agli arrivi, ipotesi che nei giorni scorsi a solo sentirla nominare faceva infuriare la cancelliera, tanto da spingerla ad ammettere in un intervista. «Sul tetto ai migrati mi gioco la credibilità». E così è stato. Dalla mozione di compromesso che ieri ha riunito la Cdu la parola «Obergrenze» (tetto), è stata opportunamente cancellata, sostituita dai termini «ridurre, contenere» il flusso dei migranti. Concetti sui quali anche la cancelliera ha potuto dare il suo assenso.
E’ chiaro che le difficoltà non sono finite, ma alla Merkel va sicuramente riconosciuta una buona dose di coraggio per il modo in cui, praticamente da sola, è stata capace di imprimere una direzione nuova al modo in cui non solo la Germania, ma l’intera Europa stava affrontando la crisi dei migranti. Riuscendo allo stesso tempo a cambiare anche l’immagine di frau di ferro che si era costruita con la crisi greca.
Eventi che hanno avuto un peso non indifferente. «Il 2015 è stato un anno incredibile, di cui è difficile farsi una ragione. Io personalmente non ho mai vissuto una simile serie di eventi», sono state ieri le sue prime parole aprendo il congresso. E davanti ai mille delegati, molti dei quali ostili alle sue scelte in tema di immigrazione, ha ribadito il concetto più volte espresso nei mesi passati, quel «wir scheffen das», «noi possiamo farcela», riferito all’integrazione dei migranti che la accomuna ai suoi più illustri predecessori e che ha portato il Time ha incoronarla personaggio dell’anno.