Sapevo, sapevamo tutti, che Stefano era malato da tempo. Ma poiché, sebbene non con la frequenza di sempre, continuava a scrivere e a partecipare, alla fine abbiamo pensato – o ci siamo lasciati illudere dall’idea – che la cosa non fosse grave.

Qualche settimana fa era seduto nella fila davanti a me al teatro Argentina per vedere l’ultima opera di Mario Martone. Non posso credere, non ci riesco, che non sia più con noi.

Come parlare di Stefano Rodotà, come ricordarlo, spiegarlo ai giovanissimi che certo lo conoscevano di fama, ma che non possono capire il significato della sua presenza politica in questo ultimo mezzo secolo, nel quale ha giocato un ruolo qualitativamente diverso da ogni atro protagonista di questo tempo, assolvendo ad una funzione essenziale? Una funzione storica. Mi spiego: Stefano Rodotà non era comunista, aveva una formazione diversa da quella del Pci e dalla nostra de Il Manifesto; ma di sinistra. Qualcuno ha sempre detto di lui che era un liberal democratico, non lo so se era così, era certo un grande giurista ma io/noi l’abbiamo sempre sentito compagno, nel senso più pieno che occorre dare a questa parola. Era entrato nelle nostre vite attraverso quella speciale figura che il Pci nella sua epoca migliore aveva inventato: gli eletti nelle proprie liste non appartenenti all’organizzazione,i c.d. «indipendenti di sinistra». Fu una grande idea, perchè molti di loro ci portarono una folata di nuova e utile cultura. Ma con Stefano fu diverso: ci portò un contributo essenziale alla correzione del nostro modo di essere comunisti. Perché non risultò esterno, fu subito parte di noi, la sua diversità fu quella che Eduard Said ha chiamato «un aiuto fondamentale alla critica di se stessi».

Dovremo, vorrei io stessa, scrivere e spiegare molto di più su chi sia stato per noi tutti Stefano Rodotà. Non posso certo farlo ora perché si tratta di una riflessione storica che non può svilupparsi nei 30 minuti che dall’annuncio della sua scomparsa mi sono dati ora per scrivere. Non posso non aggiungere, tuttavia, il ricordo personale di un percorso che mi ha dato il privilegio di lavorare con Stefano gomito a gomito.

Nel 1980, nel tempo della crisi del compromesso storico e prima del pieno dispiegarsi del craxismo, come risultato di un appello firmato da Claudio Napoleoni e Lucio Magri, nasce Pace e guerra, prima mensile e poi settimanale, con l’intento di dar voce ad un’area di sinistra che tentò ancora un’incontro fra sinistra socialista, comunisti critici del Pci e area della cosidetta “nuova sinistra”,il Pdup innanzitutto. Direttori di Pace e Guerra furono Claudio Napoleoni, Stefano Rodotà e la sottoscritta ( più tardi anche Michelangelo Notarianni). Con Stefano in particolare abbiamo lavorato insieme quotidianamente per quasi cinque anni, con una redazione fantastica di cui voglio ricordare fra i tanti nomi solo qualcuno che oggi sembra più eterogeneo: Gianni Ferrara ma anche Paolo Gentiloni, Massimo Cacciari, Giuliana Sgrena e Aldo Garzia. ( Ma anche Carla Rodotà, contributo prezioso al nostro lavoro). E una inedita, larghissima partecipazione della socialdemocrazia europea che in quegli anni vide la prevalenza di una splendide leadership di sinistra. Il nostro tentativo fu sconfitto. Sappiamo tutti come e perché. Ma continuo a credere non inutile. Anche se il Pci, sciogliendosi in malo modo, e il Psi con l’avventura craxiana, seppellirono quel tentativo di alternativa.

Ho ricordato Pace e Guerra perché quella esperienza non è per me e per molti compagni solo un ricordo molto importante, ma perché a quel tentativo politico Stefano Rodotà ha coerentemente lavorato per tutta la vita, nelle sedi in cui si è via via trovato ad operare ( non ultima, per importanza, la «nostra» Fondazione Basso, di cui è stato Presidente). Non era utopia, illusione.

Era un obiettivo possibile.

Anche recentemente: non ci siamo mai arrabbiati abbastanza per il fatto che la sua candidatura a presidente della Repubblica sostenuta dai Cinque Stelle ( per una volta non ambigua) e da SeL sia stata fatta cadere dal Pd.

Ho la massima stima di Mattarella, ma Stefano Rodotà, proprio per la sua storia e la sua personalità, e nonostante i limitati poteri del Qurinale, avrebbe forse potuto contribuire ad evitare il disastro attuale della sinistra.

Ciao Stefano, siamo molto tristi. Un abraccio a Carla e a Maria Laura.