Il film sui nostri schermi arriva la prossima settimana (il 13), dopo un anno di successi – Sundance film festival 2013 dove ha vinto il premio della giuria e del pubblico, Certain regard di Cannes … E meno male (si deve ringraziare la nuova distribuzione Wider) perché Fruitvale Station – in italiano Prossima fermata Fruitvale Station è un bel film, esordio coraggioso e lucido, ben calibrato a partire da una storia vera che però il giovane regista Ryan Coogler non insegue. Non nei termini più canonici almeno.

Il protagonista è un giovane african american, Oscar Grant, che la polizia della Bart, la Bay Area Rapid Transit, la metropolitana che taglia in due San Francisco arresta e ammazza a sangue freddo la notte di Capodanno del 2009 alla stazione di Fruitvale. Oscar è nero, e questo è di per sé un reato, un po’ come in Italia sembrare drogati. La storia di Federico Aldovrandi insegna.

L’agente che ha sparato a Oscar è stato condannato a due anni, perché avrebbe confuso la pistola con il taser, ed è uscito dopo 11 mesi. Ma davanti a quella morte c’erano migliaia di testimoni, i passeggeri della metropolitana, e tutti hanno filmato il pestaggio e l’omicidio mettendo subito in rete le immagini. La reazione è stata immediata in tutta la Bay Area, proteste violente, scontri andati avanti per giorni. Oakland, la città di Bruce Lee e di Jerry Garcia, tra gli altri, è zona nera, e poi ispanica, è là che sono nate le Black Panthers, con Huey Newton e Bobby Seale, ed è cominciata la lotta per i diritti civili e degli african american. Oscar Grant aveva ventidue anni, una bimba piccola, una ragazza messicana, era già finito in galera per spaccio. Casinista, «governato» da un matriarcato a volte fin troppo severo – la madre per prima poi la compagna, la nonna , la sorella – che cerca faticosamente di non deludere raccontando (parecchie) bugie tipo nascondere che ha perso il lavoro ecc. Poi non gli credono, non hanno fiducia, la compagna lo ha trovato con un’altra, la mamma lo ha visto in galera troppe volte, Oscar non spaccia più davvero però è difficile ricominciare…

Oscar sullo schermo è Michael B.Jordan, giovane star americana in ascesa (visto in The Wire e Friday Night Lights) che chiamano già «il nuovo Denzel Washington». Lo vedremo nel reboot I Fantastici 4, diretto da Josh Trank (con cui ha già lavorato in Chronicle), nel ruolo di Johnny/La Torcia umana, e subito dopo di nuovo con Ryan Coogler per lo spin-off di Rocky, Creed.

I fan puristi (razzisti?) del fumetto Marvel si sono arrabbiati contestando la scelta di un «nero» per un personaggio bianco. Lui sorride: «Me lo aspettavo. La gente non ama i cambiamenti, ma io sono un attore e faccio il mio lavoro. Sono cresciuto coi Fantastici 4 e perciò non vedo l’ora di essere sul set» è l’ottima risposta.

Lo incontriamo nella mattina romana di presentazione di Fruitvale Station, un film a cui è legato in modo speciale. Nel dare vita a Oscar Jordan è straordinario, dosa forza, intensità e naturalezza trovando sempre i toni giusti. Fruitvale Station è stato girato in venti giorni, Jordan era sul set tutti i i giorni. «Il merito è di Ryan Coogler, è lui che ha fatto le ricerche, viene da lì, conosce bene la zona. Poi avevamo due possibilità, o la strada del biopic tradizionale, o come ha fatto Ryan puntare su una dimensione narrativa netta». Ed è questa la forza e la scommessa riuscita del film. Coogler concentra la storia in ventiquattro ore, l’ultimo giorni di vita di Oscar, che è una giornata speciale, la fine dell’anno e il compleanno della mamma, ma anche una giornata come tante altre. Sappiamo quello che è accaduto sin dall’inizio, ci sono sulle voci dei due personaggi, Oscar e Saphina e i loro propositi per l’anno nuovo – non spacciare più lui, non mangiare carboidrati lei – le immagini filmate nel momento della sua morte. Ma Oscar nel film non ha appiccicata su la retorica dell’eroe, è un ragazzo come tanti, coi suoi problemi, i soldi, il lavoro, la storia con la sua donna, la figlia, forse più seri perché è stato in galera – ed è nero – e su di lui c’è subito diffidenza.

E i lampi del passato che a volte gli tornano i mente, gli incontri casuali e allegri come quella ragazza al supermercato che non sa come friggere il pesce e lui chiama la nonna in aiuto. E la cena familiare, gli amici, fino a quella notte. «Mi ha aiutato moltissimo incontrare le persone che lo hanno conosciuto e amato, la madre, la sua compagna, la figlia. Era come conoscere tanti Oscar diversi. Per me interpretarlo nel film è stata una enorme responsabilità, sentivo di dovergli rendere giustizia anche se poi insieme al regista abbiamo deciso di raccontarlo come era, pure coi suoi difetti. Poteva essere rischioso ma ci sembrava più vero».