Domenica prossima quattro delle cinque massime cariche istituzionali andranno a votare per il referendum, incluso il capo dello Stato Sergio Mattarella. La quinta carica, il presidente del consiglio Renzi, inviterà all’astensione. Non è una figura smagliante.

Andranno a votare tutti quelli che vogliono impedire che, in nome degli interessi dei petrolieri, venga messo a rischio il mare, che incidentalmente è anche risorsa economica: la principale per alcune aree del Paese. Ma ci andranno anche molti che sono interessati più a sconfiggere l’arroganza di Renzi che non alle trivelle. Una conseguenza della strategia aggressiva adottata da Renzi stesso.

Se le astensioni impediranno il quorum per il gran capo non ci sarà nessuna gloria. Sarà stato merito del trucco di gonfiare il fronte del “no” con l’area del non voto, e se i votanti supereranno il 40% sarà comunque una sconfitta politica netta.

Tanto più dopo uno scandalo Tempa Rossa molto lontano dall’essersi esaurito, il premier ci farà la figura di chi si è speso a più non posso a esclusivo vantaggio di chi già paga tasse ridicole e grazie al prolungamento delle concessioni approfitterà della franchigia per non sborsare più nemmeno quei quattro soldi. Se il quorum sarà raggiunto in compenso, il referendum sarà per Renzi lo svincolo per viale del Tramonto.

Inevitabile chiedersi chi glielo abbia fatto fare, perché il ragazzo abbia puntato tanto su una sfida nella quale ha comunque tutto da perdere e niente da guadagnare, e alla quale si sarebbe potuto sottrarre senza sforzo? Domanda che fa il paio con un’altra che da un po’ circola impetuosa nei corridoi della politica, inclusi quelli popolati dai soldatini di Matteo: chi glielo fa fare a insistere su una legge elettorale, l’Italicum, che pare scritta a misura di M5S?

Con l’Italicum Renzi si priva del principale argomento contro gli orfani di Casaleggio: «Quelli non vogliono accordi con nessuno, voto sprecato». Con la legge elettorale, quel limite sarà mutato per magia in pregio. Certo l’Italicum farà fuori la destra, che però aveva già provveduto da sola. In compenso rafforzera chi già si stava irrobustendo a vista d’occhio.

La risposta a entrambi i quesiti sta nella visione della democrazia di Renzi, derivante più dal carattere che da dotte riflessioni. Renzi detesta i soggetti di intermediazione, come i sindacati, la magistatura o il suo stesso partito. Intende il capo del governo come un amministratore delegato onnipotente, nominato dagli azionisti una volta ogni cinque anni. Che da quel momento non debba rispondere più a nessuno. Per questo ha vissuto il referendum sulle trivelle come un attentato al proprio ruolo ed è pronto a rischiare tutto con l’Italicum pur di non dover mediare. Per questo adora Marchionne, stessa pasta, e per questo abusa così tanto della delega.

In questo senso, il giovanotto rappresenta davvero un’anomalia nella democrazia italiana che nella mediazione, a volte nel bene, altre nel male, ha sempre creduto. Ogni paragone con Silvio Berlusconi, mediatore anche oltre tempo massimo, si rivela qui in tutta la sua superficialità.

È una concezione della democrazia e a qualcuno piace. Sono in tanti,ormai, a vedere la democrazia partecipata o parlamentare come impacci per gli “uomini del fare”. Se siano in molti o in pochi a gradire il modello lo si comincerà a capire davvero domenica prossima.