Tappa 19, da Treviso a San Martino di Castrozza. Si attraversano i campanili addobbati di rosa e i vigneti di prosecco (di gran moda, ma non si commenta ché sennò si rompe l’amicizia con lo Zamponi con cui si era chiacchierato amabilmente ieri). Terre di confine, arriva la famiglia Roglic sul traguardo, per lui parecchie delle scritte sull’asfalto. Ma c’è chi più ride di tutti, l’ecuadoriano Carapaz. Da El Charco sono arrivati anche i suoi amici, il resto della regione è tutto incollato alla televisione fin dall’alba. Immaginatevi gli italiani durante i mondiali di Messico ’70. In diretta è giunto il messaggio dell’ambasciatore, addirittura il presidente Moreno lo incoraggia. Il presidente ha un nome evocativo, Lenín con l’accento sulla “i”, nome che però non è un programma: «Lenín Moreno fu scelto come successore di Rafael Correa per le elezioni del 2017. Vinse per un pelo al ballottaggio. Non era il candidato preferito da Correa, ma la scelta ricadde su di lui perché era la figura con maggiori possibilità di farcela. Si sapeva che alcune cose con Moreno sarebbero cambiate, ma nessuno poteva sospettare che in due anni si sarebbe verificata un’inversione così radicale». Lo spiega Samuele Mazzolini dell’Università di Bath, cittadino ecuadoriano per scelta politica dopo aver collaborato con la Presidenza Correa (da noi è dura diventare cittadini anche a nascerci, in Italia).

«Da allora, Moreno non solo ha stravolto buona parte delle politiche del suo predecessore, facendo ripiombare il paese andino nella ’lunga e triste notte neoliberista’ (celebre espressione di Correa), ma ha scatenato un’epurazione politica e giudiziaria contro tutti i funzionari rimasti fedeli all’ex presidente sulla falsariga di quanto avvenuto in Brasile e Argentina. Ha riavvicinato l’Ecuador agli Stati uniti, e ha omaggiato l’impero con la consegna di Julian Assange».

In gruppo si vocifera che pure Carapaz potrebbe trovare il suo Moreno in Mikel Landa, compagno di squadra, quarto in classifica, con una gran gamba e voglioso di fare corsa a sé. Oggi per lo meno non se ne deve curare troppo. Il copione è ormai quello standard, va via la solita fuga e il gruppo non ha tempo e voglia per rincorrerla. Per assistere a qualche scatto deciso in questo Giro bisogna, per paradosso, attendere gli esiti di questa fuga ininfluente per la generale. Il più forte è il colombiano Chaves, il colibrì, tutti lo sanno, ma sei, sette, otto scatti e alla fine non gli resiste più nessuno e trionfa sorridente tra le braccia di mamma e di papà. Più indietro tra i big poco più che scaramucce, o poco meno.