Ci parla della nascita di «Nang»?
Nang nasce dal tentativo di creare un progetto di diffusione e discussione di cinema molto diverso dagli altri. Partiamo da un aspetto spesso sottovalutato e, per alcuni aspetti, ironico: la stragrande maggioranza delle riviste cartacee di cinema sono stampate in maniera sbrigativa e grossolana. Ma perché, invece, non cercare di produrre una rivista nei migliore dei modi possibili, attenta sia ai testi sia alle immagini? Uno sforzo del genere permette, a mio avviso, di avvicinarsi ad un cinema «di carta» oltre che «su carta». E molto si potrebbe ancora fare in quest’ambito.
Il panorama delle riviste di cinema post anni 2000, in lingua inglese e no, a differenza di altri campi come l’arte e la fotografia, sembra presentare tre problematiche: la preponderanza di quello che potremmo chiamare il formato tradizionale delle riviste (recensioni e rubriche spesso ad opera di firme fisse, interviste, cronache da festival ed eventi, speciali o dibattiti); la compartimentazione fra riviste accademiche, riviste di settore e d’approfondimento, e le riviste mainstream/commerciali; e la difficoltà oggettiva nell’acquistare molte di queste stesse riviste. Nonostante l’irruzione del web e dei social media, le cose non sembrano essere mutate di molto.

«Nang» cerca di collocarsi al di fuori di questo panorama. Una direzione impossibile se vogliamo, ma la spinta è questa. Ho iniziato per sottrazione, abbondonando il formato tradizionale. Ho pensato a «Nang» come ad un progetto di «micro-editoria ad hoc»: una sorta di rivista-libro dedicata alle cinematografie e le culture cinematografiche in Asia (Asia intesa non solo come continente geografico ma anche come contesto, idea, come «proiezione» dello spazio e della mente); un semestrale carteceo a tiratura limitata, in lingua inglese, disponibile a livello internazionale (la rivista è in vendita in circa 40 negozi in giro per il mondo e spediamo verso qualsiasi destinazione gli ordini ricevuti tramite il nostro sito web); uno sforzo collettivo in cui curatori ospiti sempre diversi, autori, grafici, e collaboratori esplorano determinati temi, idee di cinema, e determinate realtà; una piattaforma limitata nel tempo ed inevitabilmente figlia di un certo tempo, con un inizio (nel 2016), ed una fine (nel 2021).

Come sono scelti i temi di ogni numero, e quindi i relativi curatori ospiti?
Non sono io a scegliere i temi. Io approccio potenziali curatori ospiti, e da lì iniziamo una discussione che di solito si protrae per qualche settimana. Sono però i curatori a proporre le aree su cui vorrebbero lavorare, ed una volta partiti lavorano in totale libertà. I curatori dei numeri 1-5 sono stati scelti nei primi due anni del progetto, quelli dei numeri 5-10 poco dopo.

Con ogni numero ripartiamo letteralmente da zero: solamente io, i grafici, ed il team di produzione rimaniamo gli stessi. Personalmente, mi interessava avvicinare curatori molto diversi tra loro, cercare di coinvolgere anche dei cineasti, e vedere in che modo si avvicinavano all’idea ed al formato della rivista (i curatori/co-curatori dei nostri numeri 2, 3, 4, 8 sono infatti cineasti). Per quanto riguarda i temi, sono orgoglioso del fatto che «Nang» continui ad affrontare aree diverssissime tra loro pur mantenendo, a mio avviso, una serie serie di fili rossi, di scambi e di sovrapposizioni che s’intrecciano di numero in numero.

Il suo punto di vista sul rapporto con i lettori e il mercato di un progetto del genere?

Sono i lettori che leggendo ed interagendo con una rivista la fanno davvero esistere. Senza questo contatto fondamentale, una rivista diventa un esercizio solipsistico, un oggetto letteralmente ingombrante. Ricevere messaggi/feedback positivi dai lettori rappresenta una delle gioie lavorative più grandi per qualsiasi editore.
Di contro, il mercato e le sue logiche rappresentano spesso un punto dolente. In particolare, piccole riviste come «Nang» tendono a soffrire a causa di limiti di distribuzione – i distributori cosiddetti indipendenti gestiscono così tanti titoli e sono diventati così grandi che si comportano come i grandi distributori – e faticano ad ottenere visibilità, considerando anche il fatto che non possono permettersi addetti stampa o marketing.

Può dirci la sua sulla ricezione del cinema asiatico?
Come molti sanno, negli ultimi 15-20 anni, la fruizione del cinema asiatico ed extra-europeo/statunitense più in generale è divenuta più facile (festival e rassegne, distribuzione nelle sale, DVD e Blu-Ray, streaming eccetera). Certo, l’orientalizzazione di certo cinema continua, e il panorama sembra fare ora passi in avanti ora passi indietro. Vedremo se, ad esempio, l’attuale successo di Parasite di Bong Joon Ho avrà effetti di lunga durata. In merito, penso che l’Italia sia piuttosto fortunata per ciò che concerne la possibilità di vedere cinema asiatico (specificatamente non doppiato) grazie al Far East Film ed altre rassegne.
La ricezione critica sembra invece frammentata ed i critici tuttologi, temo, non cesseranno mai di esistere. Inoltre, molte ricerche accademiche meriterebbero un pubblico più vasto, ma purtroppo qui torniamo alla compartimentazione di cui parlavo prima.

«Nang» è attualmente l’unica rivista cartacea non accademica interamente dedicata al cinema asiatico. In precedenza, è esistito per diversi anni solo un periodico indiano in lingua inglese chiamato «Cinemaya», il quale ha cessato le pubblicazioni verso il 2000.

Il futuro delle riviste di cinema?
Le testate online (così come i podcast) avranno una posizione sempre più importante (penso a realtà online vere e proprie, non a versioni digitali di riviste cartacee); quelle cartace… dipende. Ci vorrebbe più spinta nell’intraprendere progetti non ortodossi, o ripensare alcuni aspetti di quelli esistenti (la recensione, ad esempio, è un genere abusato; lo stesso dicasi per la pletora di liste best of). «Nang» viene preparata senza un ufficio o una redazione. Si lavora ora online ora offline dai caffè, dalle camere da letto, stanze d’albergo, spesso in Paesi diversi e in orari strampalati causa fusi orari. Penso che questi modi di fare rivista diventeranno sempre più frequenti in futuro. Alcuni Festival potrebbero farsi anche fucine di riviste di cinema e/o di progetti editoriali a lungo termine, anziché «montare il circo» per dieci giorni l’anno e poi scomparire fino all’anno successivo. Ad esempio, mi ha fatto piacere sapere che la manifestazione londinese Open City Documentary Festival inizierà da quest’anno a pubblicare una rivista cartacea semestrale chiamata «Non-Fiction». «Il cinema è come un uccello. Non ha bisogno di un passaporto», ha scritto Mohsen Makhmalbaf in un contributo pubblicato nel nostro numero 4. Lo stesso si potrebbe dire per le riviste ed il loro possibile futuro. Perché non sforzarsi di volare?