Nelle religioni preistoriche, prima che trionfasse l’ordine umanistico della ragione, indagare la natura significava interpretare caotiche corrispondenze di simboli magici. L’universo non era la somma di bellezze innocue da contemplare, ma un mistero oscuro che offerte e sacrifici potevano appena placare. I greci lo avevano presente quando, dalla madrepatria, portarono i loro culti nelle terre colonizzate. Tra queste la Sicilia, prodiga di miti per Omero: un’isola incognita da affrontare con tutte le sacre cautele, cosicché non sorprendono le notizie provenienti da Selinunte, che restituiscono uno tra gli scenari più completi riferiti all’utilizzo degli animali all’interno della sfera sacra nell’antico mondo greco.

Dal 7 giugno al 5 luglio, sull’acropoli della città, ha avuto infatti luogo la tredicesima campagna di scavo dell’Università Statale di Milano e della New York University, che ha identificato deposizioni votive di un palco di cervo rosso perfettamente integro e di corna di un toro adulto di grandi dimensioni.

«Il palco di cervo è databile stratigraficamente all’ultimo quarto del VII secolo a.C., ovvero entro la prima generazione di vita della colonia ellenica», chiarisce all’Extra-terrestre Clemente Marconi, docente di Archeologia classica presso il Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali dell’Università degli Studi di Milano e direttore della missione selinuntina.

L’offerta è una delle più antiche documentate nell’area sacra. È stata rinvenuta dove già nel corso delle campagne precedenti erano state identificate punte di lancia conficcate nel suolo, nello strato di preparazione del terreno intorno a un edificio di culto: una struttura rettilinea con fondazione in schegge di calcare e elevato in mattoni crudi, lunga 4,5 metri e posizionata a est del più recente Tempio R; proprio quando questo fu costruito, nel primo quarto del VI secolo a.C., la struttura precedente fu rasata con cura.

«Il palco è stato probabilmente dedicato da un cacciatore alla dea Artemide, per il cui culto abbiamo altri indizi nella nostra area di scavo», spiega Marconi. «L’importanza della caccia a Selinunte è ben attestata da documenti come la metopa del Tempio E, con Artemide che fa morire Atteone per punirlo della sua hybris lanciandogli una pelle di cervo sul corpo e inducendo quindi i cani a sbranare il padrone. La presenza del cervo è ben attestata in età arcaica in Sicilia occidentale, soprattutto nel sito indigeno di Monte Polizzo: per questo si potrebbe pensare a un cacciatore selinuntino inoltratosi tra i primi nell’entroterra elimo. Il VII sec. a.C. era una fase umida dal punto di vista climatico, per cui le foreste erano ampie e diffuse».

Il palco apparteneva a un maschio adulto di Cervus elaphus: cervo rosso. «In base alla sua morfologia, possiamo ipotizzare che sia stato perso in vita dall’animale e che successivamente sia stato raccolto da un uomo», sottolinea l’archeo-zoologo Roberto Miccichè, coautore della ricerca. «Il maschio di questa specie, comparsa in Sicilia almeno 18 mila anni fa e estinta sull’isola soltanto da duecento anni, cambia in genere il suo palco tra febbraio e aprile», continua il ricercatore, restituendoci viva l’immagine di un cacciatore che, a primavera, si addentra nelle foreste siciliane per cercare un dono che sente l’obbligo di offrire alla sua dea preferita.

La dedica delle corna di toro è invece associata al Tempio R, il primo realizzato in pietra a Selinunte, intorno al 580 a.C. «Negli scavi è stato possibile identificare altre forme di sacrificio animale associate alla costruzione dell’edificio, a partire da quella di un ariete nelle fondazioni dell’adyton», spiega Marconi. «Il sacrificio del toro era uno dei più impegnativi nella religione greca, spesso nella forma di un ecatombe, ben superiore naturalmente rispetto al nostro caso limitato a un solo animale. A Selinunte abbiamo altre indicazioni della pratica: frammenti di statue di tori, una in terracotta e l’altra in marmo dal grande santuario urbano, cui pure appartiene il Tempio R; più la monetazione di V sec., che mostra libagioni in santuari che presentano statue di toro».