Donne leader di rivolte di schiavi come Dandara, Luisa Mahin, Teresa de Benguela; la scrittrice afrobrasiliana Carolina Maria de Jesus, forse la prima intellettuale organica dei favelados; la cantante e attrice comunista Leci Brandão; e Marielle Franco di cui sappiamo, o abbiamo saputo: le lotte, l’intelligenza politica e il ruolo istituzionale al servizio degli ultimi, il suo corpo riassunto di antiche oppressioni e di nuove conquiste, la vita stroncata da un vigliacco agguato paramilitare, il 14 marzo di un anno fa, a Rio.

 

Un partecipante alla sfilata di Rio dell’Estação Primeira de Mangueira (Afp)

 

«La storia che la storia non racconta» è salita tumultuosamente in cima al podio del Carnevale 2019 di Rio, che si è chiuso sabato nel sambodromo Sapucaì grazie al trionfo dell’Estação Primeira de Mangueira con il suo enredo dedicato all’attivista carioca. E con lei a tutte le precorritrici – la saldatura ideale del Carnevale con l’8 marzo è risuonata apoteótica stavolta – che ne annunciano inevitabilmente le eredi. E avanti così, finché l’ingiustizia non se ne farà una ragione. Marielle è stata presente! anche nel lavoro di altre scuole di samba, da Vai-Vai a Pérola Negra, con Vila Isabel che ospitava la sorella nel suo desfile e Paraíso do Tuiuti che ha raccontato la parabola di Lula, dalle umili origini all’esclusione per via giudiziaria da elezioni che avrebbe certamente vinto.

 

Particolare dell'”enredo” della scuola di samba Vila Isabel, con la sorella di Marielle Franco, Anielle Silva, al centro (Afp)

 

Un «carnevale di lotta», dice Leandro Vieira, creatore del soggetto che 3.500 figuranti, una delle baterias più potenti al mondo e un team di sambisti capace di far stare tutto in una canzone, il samba do enredo che segnerà il ricordo di questa edizione, hanno portato fino alla vittoria finale.

«È ora di ascoltare le Maria, le Mahin, le Marielle». Tutte plurali, come il Brasile che rappresentano.

 

La prima fila della scuola di samba Vai Vai durante la sfilata a San Paolo (Afp)

 

Un «messaggio politico» diffuso, al quale il presidente Bolsonaro ha reagito in modo scomposto, con il post del video urifilìaco, una «pioggia dorata» contro l’indecenza di cui sarebbe malato a suo dire il Carnevale. D’altro canto le classi dominanti ci provano da sempre a trasformarlo in un feticcio decente, senza riuscirvi. Resta l’evento culturale più importante e indomabile del paese, con il suo precipitato sociale in un mare di lustrini. E in Brasile non sfugge a nessuno il senso ultimo della sua simbologia, le fiamme del rinnovamento che salgono verso l’alto, il tempo sospeso in cui ogni azzardo contro l’ordine costituito è ammesso, se immaginato su basi di giustizia.

 

 

«Il Carnevale è del popolo», insiste Vieira. E certo non è mai stato così politico, radicalizzando una tendenza già emersa chiaramente lo scorso anno e destinata a crescere, parallelamemente all’avanzata della ruspa bolsonarista. Per ora possiamo dire che da marzo a marzo quest’annus horribilis, funestato dalla scomparsa di diverse figure esemplari dell’altro Brasile – Marielle. Moa do Katende, Yuka… – e dalla disgrazia democratica dell’elezione di Jair Bolsonaro, potrebbe dirsi concluso.