Euro al capolinea? La vera natura della crisi europea di Riccardo Bellofiore, Francesco Garibaldo, Mariana Mortàgua (Rosenberg&Sellier, pp. 159, euro 14) è il libro che raccoglie le prime intuizioni per aggiornare quella che giustamente gli autori chiamano «una teoria (macro)monetaria della produzione (capitalistica)». Sebbene il contenuto esibisca «lampi di genio» che devono ancora trovare una catena causale, lo spirito del volume è quello onesto del dubbio e dell’utopia. Il libro è costruito su due parti distinte: perché l’uscita dall’euro è la risposta alla domanda sbagliata e l’Europa dopo la crisi greca, la Brexit e le elezioni italiane.

NELLA PRIMA PARTE, si delinea quello che potrebbe diventare uno schema macroeconomico che trae origine dalla moneta e dai flussi finanziari. Infatti, le transazioni finanziarie di un qualsiasi operatore in Borsa fanno crescere il valore di un’azione già emessa in passato, e questa è tanto più importante quanto più impresa o banca guadagnino in termini di patrimonio, ancorché non sia necessariamente collegata a un aumento delle risorse reali disponibili. Ma l’operazione determina una distribuzione arbitraria del credito dal punto di vista collettivo e, indirettamente, modifica il potere di condizionamento dei processi accumulativi e di crescita.
In ragione di questa dinamica, gli autori osservano che quella che viviamo non è una generica crisi del neoliberismo o di una vuota finanziarizzazione, piuttosto della money manager capitalism, un capitalismo di gestori finanziari, costruito sulla centralizzazione senza concentrazione, nuove forme di governo societario, concorrenza distruttiva, aumento dei prezzi delle attività finanziarie, e sul consumo a debito. Si tratta di un sistema economico caratterizzato da fondi altamente indebitati che cercano il massimo rendimento in un ambiente che sopporta sistematicamente alti rischi. In assenza di una regolamentazione o supervisione adeguata delle istituzioni finanziarie, i gestori del denaro hanno inventato strumenti sempre più esoterici e opachi che si sono rapidamente diffusi nel mondo; contrariamente alla teoria economica ortodossa, i mercati generano incentivi perversi a sostegno del rischio, punendo i timidi. Coloro che giocano sono ricompensati con alti rendimenti perché il finanziamento a debito fa salire i prezzi delle attività sottostanti (L. Randall Wray, 2011).
All’interno della prima parte della narrazione di Euro al capolinea? c’è una puntuale descrizione dell’evoluzione del sistema produttivo europeo. Perché la finanza è importante in questo processo? Grazie alle enormi possibilità dei rendimenti che è possibile lucrare dagli investimenti finanziari, il margine di profitto accettabile da quelli industriali è stato spinto verso l’alto.

IL LIBRO AFFRONTA poi l’Europa e le sue prospettive, invitando a farsi le domande giuste. Sono proprio le considerazioni suggerite dagli autori a riconsegnarci la Storia: o l’Europa diventa tale, oppure sarà condannata alla marginalità, schiacciata tra giganti economici e finanziari. La stessa caduta del fiscal compact, ormai scomparso dal diritto comunitario (27 novembre 2018) è l’inizio di qualcosa ancora da scrivere.
Indiscutibilmente il libro è originale e suggerisce una ricerca inedita che combina moneta, finanza e struttura produttiva. Probabilmente una diversa articolazione del volume sarebbe stata più appropriata: la storia e il ruolo del capitale che nel tempo diventa flusso-reddito; l’organizzazione economica e industriale europea dove si qualifica il concetto di centralizzazione senza concentrazione; l’Europa e l’euro che si trovano nella Storia, ma non hanno nessuna consapevolezza di tutto ciò.

PROPRIO PERCHÉ viviamo una crisi di paradigma, sarebbe stato interessante catturare la legge di Engel come parte integrante della domanda effettiva (Leon, 1981). Infatti, la richiesta emergente dalla Cina non è legata a una generica crescita della stessa, piuttosto è connessa al maggior peso dei beni superiori rispetto ai beni inferiori interessati da una domanda di sostituzione.
Resta la necessità di prefigurare delle linee di ricerca innovative e più prossime alla realtà che viviamo ogni giorno, nella consapevolezza che dobbiamo pur rimuovere quello che Leon chiamava «poteri ignoranti».