Solo qualche giorno fa ha letteralmente cacciato un noto giornalista ispanico da una conferenza stampa, dopo che fin dall’inizio della sua campagna per le primarie repubblicane non ha perso occasione per definire gli immigrati messicani, che a milioni vivono e lavorano ogni giorno negli Stati Uniti, come «delinquenti e stupratori». Del resto, al centro dello scarno programma politico di Donald Trump c’è soprattutto l’annuncio di una vera e propria «guerra ai migranti», basata su un’ulteriore e completa militarizzazione della frontiera meridionale, su espulsioni di massa e su una completa revisione del 14° emendamento, quello che regola lo ius soli e che servì come base legale per il movimento per i diritti civili degli afroamericani oltre mezzo secolo fa. Abbastanza per fare dell’immobiliarista miliardario di New York il simbolo dei gruppi suprematisti bianchi e degli eredi del Ku Klux Klan, scesi in campo in questi giorni al suo fianco.

Dopo la sua discesa in campo per le primarie repubblicane, Donald Trump sta seminando il panico nell’establishment del Grand Old Party, preoccupato che il suo estremismo e le sue posizioni razziste fin troppo evidenti allontanino l’elettorato moderato e giochino, in prospettiva, a favore della sfidante democratica, con ogni probabilità Hillary Clinton, nelle elezioni presidenziali del prossimo autunno. I vertici del partito temono anche che, come già annunciato dal diretto interessato, Trump possa correre come indipendente, come fece già, dopo essere stato scaricato dai repubblicani, l’ex responsabile della comunicazione di Reagan e ideologo della nuova destra statunitense, Pat Buchanan, nello scorso decennio.

«Piccoli bianchi» spaventati

Ma ciò che suscita le maggiori preoccupazioni, anche al di là dei confini del campo conservatore, è che Trump possa interpretare con il suo misto di machismo, xenofobia e nazionalismo spinto, il malessere crescente di tanti «piccoli bianchi» spaventati dal crescere di status degli appartenenti alle minoranze e delle donne. Un «disorientamento» che come spiega Mark Potok, responsabile del Southern Poverty Law Center, la maggiore istituzione antirazzista del paese, «è frutto delle trasformazioni demografiche, di un’economia instabile e di una serie di trasformazioni culturali, ma soprattutto del fatto che queste persone vedono per la prima volta il loro paese divenire una democrazia multiculturale». Di fronte a questa prospettiva, sottolinea Potok, «hanno paura e questa paura viene sfruttata dai movimenti estremisti e, ora, da Donal Trump».
Non a caso, uno dopo l’altro, i maggiori leader di quello che negli Stati Uniti viene definito come white nationalism, l’estrema destra razzista che da tempo ha riorientato la propria propaganda, nascondendo gli appelli al «potere bianco» e contro lo «strapotere degli ebrei» sotto l’insegna delle campagne contro «l’invasione degli immigrati», hanno preso posizione a favore di Trump.

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David Duke, già Gran Dragone dei Knights of the Ku Klux Klan

L’endorsement più significativo, e più imbarazzante, è quello di David Duke, già Gran Dragone dei Knights of the Ku Klux Klan alla fine degli anni Settanta, in seguito divenuto una delle figure chiave del circuito negazionista e neonazista internazionale, ma noto anche per essersi candidato nel 1991 alla carica di governatore della Louisiana. «Trump ha capito, come noi, che l’immigrazione rappresenta una minaccia esistenziale per il nostro popolo e la nostra terra», ha spiegato l’ex klansman alla fine di agosto nel corso della sua trasmissione radiofonica settimanale. «Grazie alla sua campagna, questi temi vengono oggi portati nel modo giusto davanti a tutta l’America, e questo non può che essere un bene», ha aggiunto Duke, prima di concludere che «questa candidatira rappresenta un’ottima chance anche per noi».

Infatti, come ricorda ancora Mark Potok, «l’agenda di Trump sull’immigrazione, finisce per portare sul piano della politica mainstream le posizioni degli estremisti normalmente marginali».

Una inquietante “rispettabilità”

Così, dopo che per molti anni, perlomeno dall’era Reagan, i suprematisti bianchi avevano guardato con uguale sospetto a democratici e repubblicani, questa volta sembrano aver trovato un «loro candidato». Toni e “analisi” inquietanti che circolano da anni in rete, hanno infatti ottenuto l’apertura dei telegiornali della sera grazie alla scesa in campo di Trump. È questo almeno il merito riconosciuto all’outsider repubblicano da parte di Brad Griffin, animatore del sito Occidental Dissent che parla della «rispettabilità» finalmente ottenuta dalle tesi dei «patrioti bianchi» che resterà tale, questo almeno il suo auspicio, dopo le elezioni.
Dello stesso avviso sono anche Richard Spencer, direttore del National Policy Institute che difende «l’eredità, l’identità e il futuro degli americani di origine europea», Jared Taylor, numero uno dell’American Renaissance, con sede in Virginia, Michael Hill, al vertice della League of the South dell’Alabama o gli animatori del sito neonazista Daily Stormer che invita «a votare per la prima volta nella vostra vita per l’uomo che attualmente rappresenta i nostri interessi».

Quanto ai frequentatori di Stormfront, la comunità online giudicata più pericolosa dalle autorità americane, frequentata anche dallo stragista di Charleston,Dylann Storm Roof, sembrano aver preso fin troppo sul serio la linea di Trump. «Agli immigrati che non rimpatriamo, ci penso io», ha scritto un lettore che ha accompagnato le sue parole con una foto di un fucile d’assalto e diverse munizioni.