Come nasce l’idea di questo libro?

Da una tesi di laurea, volevo mettere in evidenza gli aspetti positivi del calcio, inteso come laboratorio di socialità e di promozione culturale, dall’aggregazione all’antirazzismo. Sotto questo aspetto la realtà del Sankt Pauli mi sembrava emblematica. La mia passione per la squadra tedesca risale alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, quando frequentavo il circuito alternativo antagonista dell’area punk. Ho scoperto la connotazione politica del Sankt Pauli leggendo una fanzine autoprodotta del circuito punk hardcore, in cui si parlava di musica, recensione di dischi e c’era anche un articolo su questa tifoseria antirazzista.

Ma i punk e lo stadio non sono due mondi opposti?

Tendenzialmente sì, ma a Sankt Pauli no. Il quartiere ha una connotazione popolare, fin dall’800 è il quartiere del porto di Amburgo, rappresenta la forza produttiva della città, ha rappresentato l’aggregazione degli operai nei sindacati liberi di quel periodo e poi nei partiti dei lavoratori. Fino alla fine degli anni ’70 la squadra di calcio è stata circoscritta alla realtà del quartiere Sankt Pauli di Amburgo, sul piano agonistico è stata una squadra mediocre.

Come compaiono i punk sugli spalti del Santi Pauli?

In via del tutto casuale. Un gruppo di punk aveva occupato le case di proprietà comunale disposte tra la Hafenstrasse e la Bernard Nocht strasse, il viale che costeggia le banchine del porto, abitate fino alla fine degli anni ‘70 da famiglie di operai, poi lasciate a seguito della crisi economica di Amburgo e della necessità di cercare lavoro in altre città. A differenza dei movimenti antagonisti che si svilupparono a Berlino e in altre città tedesche, dominati dagli studenti della media borghesia, i collettivi di attivisti della Hafenstrasse erano espressione del sottoproletariato, gli esponenti provenivano dalle lotte di fabbrica e da quelle contro il nucleare. Prendono spunto anche dal gruppo di Autonomia Operaia italiana di quegli anni, e per questo definiti dalla stampa tedesca autonomen, occuparono quelle case che altrimenti sarebbero state oggetto della speculazione edilizia.

Tutto questo come si riversa sugli spalti?

Siamo verso la metà degli anni ‘80, all’inizio un centinaio di punk della Hafenstrasse scopre che nel quartiere c’è uno stadio e si presenta in maniera goliardica, spontanea e aggregativa, poi sempre più punk, autonomen vestiti di nero, kutten per i giubbotti senza manico, caratterizzano a livello iconografico la loro presenza nella Gegengerade, il settore centrale dello stadio, distinguendosi dal prototipo medio del tifoso. Portano allo stadio il loro modo di vivere quotidiano, il look di come si presentano ai concerti, le capigliature di un certo tipo, gli slogan politici, gli striscioni, le bandiere, mutuano espressioni politiche all’interno di un contesto calcistico che fino ad allora, soprattutto in Germania, erano del tutto estranee.

Gli altri tifosi glielo consentono?

I punk prendono piede in maniera progressiva. Portano all’interno dello stadio tematiche che riguardano la commercializzazione del calcio, il rifiuto delle logiche discriminatorie, razziste, allora presenti nella gran parte delle tifoserie tedesche e in quella di Amburgo. La città, oltre al Sankt Pauli, ha un’altra squadra l’Hsv, allora proiettata verso i vertici del calcio europeo, che aveva un forte seguito di tifosi, molti de quali di stampo neonazista, i cui slogan all’interno dello stadio venivano imposti alla tifoseria dell’Amburgo. Anche gli spalti del Sankt Pauli non erano immuni da queste strumentalizzazioni. La vera forza dei tifosi punk è stata quella di combattere all’interno di un ambiente calcistico, le lotte che conducevano nella società, come il rifiuto delle logiche razziste e discriminatorie, proprie dell’estrema destra.

Ci sono stati scontri fisici tra tifosi?

Si, con i gruppi di naziskinhead dell’Hsv l’altra squadra di Amburgo e del Borussia Dortmund, che attaccarono le case dell’Hafenstrasse. All’interno dello stadio, invece, i punk hanno avviato un’opera di sensibilizzazione politica su certe tematiche, inizialmente attraverso il Fanladen, il coordinamento dei tifosi che si occupava di organizzare le trasferte. Durante i lunghi viaggi i tifosi punk parlavano con i gruppi di tifosi che erano stati sempre ai margini della vita politica tedesca, spiegavano che il nemico non è lo straniero che ruba il posto ai tedeschi, ma le politiche governative che non permettevano a tutti di avere un lavoro. Progressivamente la schiera dei tifosi più sensibili alle tematiche sociali si rafforza, il Sankt Pauli diventa lo stadio di tutti i punk di Amburgo e di quelli provenienti da altre città, si determina un contesto in cui i gruppi di tifosi di destra sono sempre meno, fino ad arrivare al 1990, quando la tifoseria, rappresentata dal Fanladen, e la società concordano una sorta di regolamento del tifoso all’interno della stadio, in cui vengono banditi comportamenti, slogan e striscioni che si richiamano alla discriminazione razziale e alle rivendicazioni neonaziste.

Siamo nell’ambito di uno scontro, seppur ideologico, tra tifosi. Che cosa fa del Sankt Pauli una squadra di eccezione?

L’eccezione è dovuta alla caratterizzazione della tifoseria e al progressivo ingresso dei rappresentanti dei tifosi nella gestione del club. Mantengono l’attivismo sugli spalti e spostano la loro azione sulla dirigenza del club, favorito anche dalla natura giuridica dei club calcistici tedeschi, che hanno lo status di associazioni sportive, sono associazioni di proprietà dei soci fino al 51%. Fino alla metà degli anni ’90 le dirigenze si occupavano delle attività ordinarie di gestione della squadra. Nel 1996 la Federcalcio tedesca obbliga le squadre a dotarsi di un Aufsichtrast, il Consiglio di sorveglianza, un organismo che si occupa di vigilare sull’andamento economico per evitare insolvenze, dissesti finanziari, bilanci negativi, un ruolo di garante sia da un punto di vista gestionale che di controllo etico.

Copre altri ruoli?

Assolve ad alcuni compiti, come il monitoraggio delle decisioni del club, dalle mozioni presentate dai membri dell’assemblea alle decisioni della strategia più politica del club, valuta i rapporti con le istituzioni calcistiche o la strategia commerciale del club, verifica se si segue l’etica dettata dalle linee guida. Cerca di mantenere un’ottica di trasparenza decisionale e di garantire la partecipazione dal basso dei tifosi, attraverso l’assemblea dei soci.

Quali istanze i punk portano nell’Aufsichtrast?

Il gruppo di tifosi punk portano all’interno del club le istanze portate tra i tifosi: la lotta al razzismo, il rifiuto delle logiche della commercializzazione della società di calcio, l’esigenza di aggregare la gente e costituire un punto di riferimento nel quartiere Santi Pauli, la promozione di iniziative sociali in modo tale che la squadra risultasse più vicina al quartiere. Nel 1996 all’interno del Sankt Pauli nasce il Dipartimento dei soci, l’Agim, acronimo tedesco di “gruppo di lavoro dei soci interessati”. Come prima cosa cercano di fugare qualsiasi legame tra il Sankt Pauli e il passato nazista, a cominciare dal cambiamento del nome dello stadio, intitolato dal 1970 al 1996 a Wilhelm Koch, presidente della squadra tra il 1930 e il 1940 con un passato, anche se marginale, di collaborazionismo con il regime di Hitler. E’ il primo provvedimento di “bonifica” al seguito del quale vecchi personaggi destroidi si allontanano dal club.

E’ una struttura di cui si dota solo il Sankt Pauli o anche altre squadre tedesche?

Sull’esempio del Santi Pauli, altre squadre della Bundesliga e della serie B tedesca, negli anni successivi si sono dotati di strutture composte da soci tifosi all’interno dell’organigramma societario, dalla gestione di una parte considerevole degli aspetti societari fino alla promozione di progetti a favore della comunità. Nel caso del Sankt Pauli, nel 1999 è nato il Dipartimento dei soci attivi, che promuove attività extracalcistiche in senso stretto, come il progetto scuola-lavoro rivolto ai calciatori del settore giovanile. Si garantisce ai giovani calciatori una formazione professionale, corsi di formazione e tirocini in aziende del quartiere, acquisizione di competenze specifiche, nel caso non dovessero avere successo nella carriera calcistica.

La città di Amburgo come reagisce rispetto al Sankt Pauli e alla metamorfosi del tifo?

Il quartiere Sankt Pauli ha una popolazione di circa 30 mila abitanti, la gran parte dei tifosi della squadra arriva da altri quartieri della città di Amburgo. In tutta la Germania si contano 11 milioni di tifosi del Sankti Pauli, in Italia paragonabili a quelli che ha la Juve, un numero non determinato dai risultati sportivi, ma dal modello sociale e culturale della squadra.

Il modello Sankt Pauli è esportabile?

Da un lato è un’esperienza unica, perché è una storia specifica legata al quartiere del porto, a istanze di classe, a politiche di un certo tipo. E’ esportabile per quanto concerne il modello della partecipazione attiva. In Italia, se le squadre fossero di proprietà dei tifosi, nel senso che i loro rappresentanti potessero far parte dell’assetto societario, ci sarebbe un livello di partecipazione più attiva.

Che cosa vuol dire partecipazione attiva?

Un surplus dei tifosi nella gestione del club, è quello che manca nei club professionistici italiani, che sono delle Spa, detenute da medi e grandi imprenditori, o come nel caso dell’Inter e del Milan da Thorir e Bee, due tycoon espressione di un sistema di gestione che tiene lontane le persone dalla squadra.

Il Sankt Pauli fa eccezione per i suoi tifosi e per i progetti sociali o c’è anche altro per avere 11 milioni di tifosi?

Il carattere iconografico è determinato dall’impronta politica, negli anni ’90 i tifosi del Sankt Pauli stabilirono solidi collegamenti con altre tifoserie tedesche di sinistra, popolari, antirazziste e antifasciste. Potremmo dire che in Germania è la squadra di quelli di sinistra, ma non è esaustivo, in realtà raggiunge risultati agonistici importanti che la fanno salire alla ribalta. Nella stagione 1988-89 il Sankt Pauli passa in Bundesliga, la serie A tedesca, e chiude il campionato al decimo posto, il risultato migliore della sua storia. Questo amplifica molto ciò che in quegli anni non si può ancora chiamare un vero modello, perché ci sono una serie di azioni spontanee dei tifosi, purtuttavia il Sankti Pauli nel suo complesso rappresenta un fenomeno nuovo per il calcio e il tifo tedesco. La novità sta nel carattere fortemente politico dell’assetto societario per quanto riguarda la gestione del tifo, a sua volta amplificato dai media, che della realtà del Sankt Pauli fanno un fenomeno piratesco, vengono definiti Frebeuter der Liga, i pirati del campionato.

Qual è il legame con i pirati?

In maniera del tutto spontanea nasce un legame tra la squadra e la bandiera del Jolly Roger, il teschio e le ossa incrociate dei pirati, che per un quartiere che si affacciava sul porto aveva un valore simbolico molto forte. Si alimenta il mito del Sankt Pauli, i poveri che rubano ai ricchi, la squadra che in Bundesliga affronta quelle sostenute dalle grandi cordate, la rivincita degli ultimi.

Chi porta la bandiera dei pirati allo stadio?

I punk, uno di loro Doc Mabuse, che gravita intorno alle occupazioni della Hafenstrasse, sembra che avesse rubato la bandiera del Jolly Roger a una bancarella del luna park, che si svolge tre volte all’anno nell’area antistante lo stadio, e l’avesse sventolata sugli spalti, provocando curiosità e interrogativi tra i tifosi sul legame tra la squadra e quella bandiera. All’inizio del 2000, la bandiera del Jolly Roger, sempre più associato alla squadra del Sankt Pauli, creò qualche ambiguità. In un momento in cui la squadra viveva un dissesto economico notevole con il rischio di fallimento, ci fu la commercializzazione di quel marchio, cui si aggiunse l’azionariato popolare, la stampa di magliette per fare cassa, con il logo del club e la scritta “salvatore”. Vi fu un coinvolgimento delle aziende del quartiere, a cominciare dall’Astra che produce birra, nei pub del quartiere per ogni birra venduta 50 centesimi andavano alla squadra. Ci furono donazioni libere da parte di cittadini e di altre aziende del quartiere.

Il Sankt Pauli vuole commercializzare al massimo la presenza in serie A e farsi lo stadio di proprietà, il ristorante per i tifosi, ecc, o mantiene la caratteristica di squadra di quartiere?

I tentativi ci sono stati e vi sono tuttora, la partita interna si gioca tra le varie fazioni, tra chi vorrebbe incentivare il processo di commercializzazione, anche in un’ottica di maggiori guadagni per aumentare la competitività agonistica della squadra e chi vuole mantenere uno status di duri e puri. La dirigenza ha creato il marchio del Jolly Roger e lo ha affidato a una società esterna, che detiene il merchandising fino al 2034 e gestisce tutti gli altri capi con un fatturato di 30 milioni all’anno, una parte dei quali va al Sankt Pauli e reinvestita in attività sociali.

E la fazione dei duri e puri?

Percepisce la politica del merchandising come una sorta di tradimento dei valori politico-culturali del Sankt Pauli, per loro il Jolly Roger da simbolo di appartenenza, di ribellione di classe, è diventato un oggetto di mercato.

I punk sono ancor presenti sugli spalti o ci sono nuovi tifosi?

Si, anche se in forma minore rispetto a un tempo, si caratterizzano sempre con le creste e il loro modo di vestire, ma ormai tanti hanno circa 40 anni. Alcuni di loro in contrasto con le politiche più istituzionali e commerciali del club sono andati via e hanno seguito altre squadre come l’Altona 93, una squadra di un altro quartiere di Amburgo adiacente al Sankt Pauli, sempre molto popolare. I nuovi tifosi sono diversi, politicamente di sinistra, caratterizzati dall’antinazismo e antirazzismo, ma sostengono anche la politica commerciale.

Il Sankt Pauli ha dato vita a strutture utili per i tifosi?

Al Sankt Pauli si sente in maniera forte il legame con il quartiere. Qualche anno fa è stato istituito un asilo nido all’interno dello stadio, creato dalla collaborazione tra la curva nord e la tribuna centrale. Inizialmente si è dato vita a una sorta di baby park, per consentire a quei tifosi che avevano bambini piccoli di andare allo stadio, poi ha finito per diventare un servizio permanente per il quartiere dal lunedì al venerdì, riservato a una cinquantina di bambini, seguiti da operatori opportunamente formati ed è aperto anche in occasione delle partite. L’asilo nido lavora in collaborazione con la fondazione Pestalozza della città di Amburgo, una parte del personale educativo è pagato dal Sankt Pauli e una parte dalla fondazione Pestalozza.

Lo stadio ha subito cambiamenti?

E’ diventato un luogo cruciale nel rapporto con il quartiere e anche nello scontro tra le due fazioni di tifosi. Nel 2007, a seguito di una direttiva della Federcalcio tedesca, sono iniziati i lavori di ristrutturazione, il piccolo stadio luogo di tante lotte e rivendicazioni è stato modernizzato. La scelta è stata di mantenere le strutture a disposizione della comunità, l’asilo nido, gli spazi a uso e consumo dei tifosi e dei cittadini, la Faironten, letteralmente stanza del tifoso, in cui vengono organizzati concerti, proiezioni, mostre e iniziative culturali di ogni sorta, sono spazi aperti tutti i giorni della settimana. Per esempio a maggio è stata esposta una mostra sul tema Calcio e Amore, che riguarda la passione per il calcio, ma anche la discriminazione sessuale.

I calciatori della squadra come vivono il contesto politico- culturale del Sankt Pauli?

Una delle prerogative del Sankt Pauli è di privilegiare i calciatori nativi di Amburgo o dei dintorni, perché siano più vicini al contesto culturale del quartiere e della città, sotto questo aspetto molti calciatori provengono dal settore giovanile, fatta eccezione per gli stranieri. Sankt Pauli è un quartiere che nella seconda metà del ‘900 si è caratterizzato per il degrado, il declino economico, la disoccupazione, la delinquenza negli anni 60 e 70, la prostituzione, un concentrato che si ritrova nel quartiere a luci rosse di Amburgo. La dirigenza provvede a organizzare un percorso di tutoring per i calciatori acquistati, organizza uscite nel quartiere per far prendere loro coscienza delle realtà più difficili. I calciatori seguono le politiche societarie, seppur non come negli anni ’80, spesso posano con i capi della tifoseria più esposti politicamente indossando magliette con la scritta “Refugees Welcome” sui rifugiati che arrivano dalle coste del Mediterraneo, seppur nell’ambito del merchandising resta comunque un messaggio forte. L’attaccamento dei giocatori al quartiere è meno evidente rispetto a prima, negli anni 80 era più facile veder i calciatori addirittura nelle case occupate della Hafenstrasse. Il portiere del Sankt Pauli Volker Ippig abitava in una delle case occupate, andava agli allenamenti in bicicletta, era un periodo in cui vi era la minaccia evidente di sgomberi da parte della polizia, gruppi di giocatori si facevano fotografare all’interno delle case occupate per dare un forte segnale di solidarietà.

Che fine hanno fatto i calciatori storici di quel periodo?

Ippig rivendica la spontaneità del periodo tra la metà degli anni ‘80 l’inizio dei ‘90, come il più puro, il più vero. Lui è stato tra i primi a non condividere la commercializzazione del Sankt Pauli, anche il fatto che alcuni tifosi fossero entrati nella dirigenza della società non è statao vista di buon occhio. Ipping, Doc Mabuse, che portò il Jolly Roger allo stadio, e altri sono andati via, seguono altre squadre. Oggi nel consiglio di amministrazione siedono alcuni esponenti di quei tifosi della controcultura punk, che parteciparono all’occupazione delle case, alle manifestazioni. Il presidente attuale Oke Gottlich, eletto regolarmente nel 2014 è uno dei primi tifosi di quegli anni, è visto di buon occhio dai tifosi attuali del Sankt Pauli, egli rappresenta il trade union tra le esigenze più istituzionali del club e quelle più politico-sociali della base dei tifosi.

Anche in Italia ci sono stati calciatori di sinistra negli anni ‘70 e ‘80, Sollier, Montesi, Zampagna, Lucarelli, ma non hanno fatto breccia. Perché il progetto Sankt Pauli dura negli anni?

Per il Sankt Pauli c’è stata una risposta collettiva della gente, che ha contribuito a creare una sorta di controcultura nel mondo del calcio. In Italia questa cultura collettiva è mancata, il forte carattere di contrapposizione ultras nei confronti delle politiche istituzionali e commerciali delle proprie squadre, non contempla certe dinamiche come l’intreccio tra i vari aspetti, il tifo, la partecipazione collettiva e l’aspetto più commerciale. Alcune battaglie portate avanti dagli ultras, come quella contro la tessera del tifoso restano circoscritte, in un contesto chiuso, molto oppositivo. In Germania il Sankt Pauli e altre squadre vivono un contesto più partecipato, anche per la natura dell’associazione sportiva che caratterizza lo status della società, esistono ben 550 mila cosiddette associazioni registrate.

In Europa ci sono squadre “contaminate” dall’esperienza Sankt Pauli?

Oggi esistono almeno una cinquantina di progetti a scopo politico-sociale sul modello del Fanladen del Sankt Pauli, sono progetti che coinvolgono la base dei tifosi nell’ottica di un tifo positivo. Sono squadre della Bundensliga, a cominciare dall’Hsv di Amburgo, la squadra alternativa al Sankt Pauli, che ha sempre avuto una tifoseria di destra, oggi vanta un progetto sociale sull’integrazione, gestito dai tifosi. Quello che è accaduto al Sankt Pauli è stato pionieristico in Germania, il modo di intendere il tifo, la gestione del calcio, hanno costituito un modello transnazionale. In Italia stanno nascendo gruppi di tifosi che cercano di essere presenti con l’acquisto di quote minoritarie nei consigli di amministrazione delle piccole squadre, penso alla Fondazione Taras 706 a.C. a Taranto, altri gruppi a San Benedetto del Tronto, ad Ancona, che hanno cercano dal basso di portare avanti una diversa gestione dei club, sensibilizzare i dirigenti delle squadre per quanto riguarda i tifosi. E’ un po’ quello che era accaduto in Inghilterra verso la metà degli anni ‘80 dopo la strage dell’Hysel con l’istituzione della Football supporter association ad opera di alcuni tifosi del Liverpool. Al Sankt Pauli tutto questo, ha assunto un carattere più forte sul piano politico.

Il Sankt Pauli ha favorito l’accesso allo stadio con prezzi più politici per i tifosi?

I dati della Bundensliga dicono che il rapporto tra il prezzo dei biglietti e la presenza dei tifosi è tra i più convenienti d’Europa, con il risultato che gli stadi sono sempre pieni. La forza dei tifosi fa la differenza nel rivendicare alcune istanze, cosa che in Italia manca perché siamo legati ancora all’idea del tifoso cliente. Il mondo del calcio italiano si muove all’interno di questa logica della pay Tv, dove il tifoso compra la partita e sta in poltrona, la sua esperienza di tifoso finisce lì.

Che cosa consiglieresti ai dirigenti del calcio italiano?

Che il modello vincente è quello associazionistico, in cui i club dovrebbero essere delle associazioni sportive come in Germania. La possibilità per i tifosi di associarsi, essere parte integrante del tessuto societario, in un’ottica democratica delle decisioni e di partecipazione attiva alle scelte del club, è l’unico modo per riportare il calcio tra la gente, renderli partecipi del controllo di certe dinamiche.

L’esperienza del Sankt Pauli, seppur su piani diversi, è paragonabile all’esperienza della Democratia Corinthiana realizzata da Socrates?

Per alcuni aspetti sì, perché siamo in un contesto di lotta di classe. La Democratia Corinthiana avviene in un ambito politicamente condizionato dalla dittatura dei militari brasiliani, in un’ottica di autogetione e autorganizzazione, che ha portato la squadra di Socrates a conseguire successi sportivi come vincere lo scudetto in Brasile, il Sankt Pauli ha portato questo carattere di lotta in un contesto calcistico tedesco di quegli anni, in cui certe istanze più politiche e culturali venivano tenute ai margini, il parallelismo da questo punto di vista calza, è presente la prospettiva della lotta di classe. Nel caso di Socrates va dai giocatori ai dirigenti allo staff tecnico, nel caso Sankt Pauli riguarda la base sociale dei tifosi.

Non è azzardato paragonare l’esperienza del Sankt Pauli alla lotta di classe, che dalla società si trasferisce all’interno dello stadio e viceversa, oppure siamo innanzi a uno scontro tra due concezioni di società sportiva quella più politico-sociale e quella nettamente commerciale?

Gli elementi dello scontro sono legati al mantenimento di una determinata etica e di un modello politico, seppur con i compromessi degli ultimi anni, per ottemperare ad alcune direttive della Federcalcio tedesca. Penso che i tifosi del Sankt Pauli abbiano dimostrato che si possano mantenere solide basi etiche e politico-culturali. Il livello dello scontro è determinato dal saper conciliare i valori con il modello di gestione, scevro da mere commercializzazioni e da accostamenti a razzismo, sessismo, tipici di un certo calcio. Nell’ultima stagione in Bundesliga del Sankt Pauli, anno 2010-2011, la protesta del Jolly Roger promossa dai tifosi nasce a seguito di alcune decisioni molto filocommerciali prese dalla dirigenza, il presidente di allora definì i tifosi ribelli, sociali e romantici, di qui il titolo del libro.

Le donne partecipano all’esperienza Sankt Pauli?

Circa il 30% della base sociale dei tifosi del Sankt Pauli è rappresentata dalle donne, alcune sono inserite nei ruoli chiave della società, dirigono il Consiglio di sorveglianza, approvano progetti proposti dai tifosi o dai soci del club. Per esempio la tifosa Brigitte del Consiglio di sorveglianza si è battuta nell’ultima campagna elettorale a sostegno del nuovo presidente Oke Gottlich, per mantenere la politica dell’eticità degli sponsor. Nel 2009 l’assemblea generale aveva votato una serie d linee guide, che contemplavano il monitoraggio dell’eticità degli sponsor, i quali non devono avere riferimenti razzisti, sessisti, o essere legati a venditori di armi, ad aziende che non garantiscono i diritti agli operai, in tutto questo c’è una forte impronta politica.

Ci sono progetti a favore dei diritti delle donne?

Nell tifoseria non ci sono gruppi costituiti da sole donne, nei posti di responsabilità ci sono uomini e donne. Sono stati avviati progetti di sensibilizzazione verso i tifosi sui diritti Lgbt, gli ultrà del Sankt Pauli hanno costituito la rete Alerta, che coinvolge tifoserie antirazziste di tutta Europa, in Germania gestiscono la campagna contro l’omofobia nel calcio, è una campagna che ha investito un vasto panorama del mondo calcistico tedesco, per esempio la curva del Werder Brema, storicamente di destra, ha esposto lo striscione con la scritta “Il calcio contro l’omofobia”.

Le attività consistono nell’organizzazioni di manifestazioni culturali, striscioni, incontri sui vari temi tra i rappresentanti delle tifoserie in un’ottica di studio e promozione della campagna contro l’omofobia, si cerca di coinvolgere anche le istituzioni, al di là della Fifa e dell’Uefa, organismi che si limitano a far indossare le magliette ai calciatori con il messaggio e poi tutto si ferma lì.

L’esperienza del Sankt Pauli non costituisce una sorta di isola felice?

Il Sankt Pauli è una realtà caratterizzata da luci e ombre, ha avuto alcune derive commerciali, si sono susseguiti cambiamenti nel corso degli anni per quanto riguarda il tifo e la composizione sociale del quartiere, oggetto di una gentrification rispetto agli anni ’70 e ‘80, quando aveva caratteristiche più popolari, per certi versi outsider rispetto alla ricchezza della città di Amburgo. Oggi Sankt Pauli ha subito un cambiamento, prevale un’immagine bohèmien del quartiere, più radical chic, anche la tifoseria rispecchia i cambiamenti sociali verificatisi nel quartiere. Se una volta erano gli operai i soggetti prevalenti, poi i punk, gli autonomen, oggi sugli spalti vedi professionisti, informatici, gestori di locali alla moda, fa figo tifare Sankt Pauli. I gruppi più radicali dei tifosi lamentano questa diffusione modaiola del tifo verso il Sankt Pauli, che coinvolge i “turisti del tifo”. Anch’io la prima volta che sono andato al Sankt Pauli sono stato spinto più dal mito che dal vedere la partita.

Non c’è il rischio di mitizzazione del Sankt Pauli?

Sì, scrivendo questo libro ho cercato di tenermi lontano dalla logica del mito, ho cercato di riportare la realtà dell’esperienza Sankt Pauli, una realtà che ritengo molto positiva. Il mito che si alimenta per alcuni aspetti è inevitabile. Il teschio del Jolly Roger è il simbolo semiufficiale della mitizzazione del club. La deriva è dietro l’angolo, e questo è uno dei motivi che spinge i soci a mantenere saldi i valori conquistati.

Cosa succederà nei prossimi anni?

Il futuro non è scritto, il mondo intorno va veloce, ma fino a oggi l’esperienza del Santi Pauli rappresenta un baluardo di socialità. Il mio libro è stato il frutto di una permanenza ad Amburgo, di interviste e incontri con dirigenti e tifosi, ho riscontrato il forte livello di socialità che è radicato, molto marcato anche il livello di partecipazione dal basso alle decisioni strategiche del club, attraverso gli organi preposti, un aspetto che si vede poco in altre società di calcio.

In quali anni il Sankt Pauli è stato in Bundesliga?

Nel complesso ha disputato 7 campionati nella Serie A tedesca, il primo 1978-79, poi nel 89-90, 90-91, 95-96 e 2001-2002 e l’ultimo 2010 – 2011. Nel 2005, quando giocava in serie C è arrivata a disputare la semifinale di Coppa di Germania contro in Bayern di Monaco, un percorso che ha risanato le casse della società, perché ha richiamato tantissimi tifosi.

 

Tutto questo sarebbe successo se i tifosi non si fossero opposti a un totale processo di commercializzazione del club?

La dirigenza voleva costruire uno stadio nuovo fuori dal quartiere Sankt Pauli, per il quale occorreva un’ora per raggiungere il luogo. I tifosi rivendicarono l’appartenenza della squadra di calcio al quartiere e avviarono una campagna di sensibilizzazione, quella battaglia è stata l’emblema del carattere di inclusione, ha coinvolto la gente del quartiere e ha spinto la persone ad avvicinarsi alle problematiche del club.

In Italia è possibile essere una piccola squadra, giocare in serie A, mantenere conti trasparenti e avere una base politico sociale come il Sankt Pauli o sono realtà che non possono durare a lungo?

 

Se le squadre italiane diventassero un’associazione sarebbe possibile realizzare un modello come il Sankt Pauli. In Germania funziona, il Dortmund, lo Shlke 04, il Bayern di Monaco sono associazioni sportive con una partecipazione popolare vasta. Il Bayern ha 300 mila tifosi che hanno l’80% delle quote, il 10% è rappresentato dal capitale privato di Allianz e il 5% dalla Opel. Il dato socialmente significativo è che per legge in Germania la maggioranza delle quote deve essere rappresentata dai tifosi, per garantire la massima trasparenza.