Il vento dell’antisemitismo e del razzismo soffia forte in Europa. Spira dalle montagne gelide della destra xenofoba e neonazista. Il vento che muove le bandiere con i simboli della destra neofascista e neonazista, si è insediato anche nelle curve degli stadi. Gli insulti che piovono dagli spalti, indirizzati ai calciatori di colore, sono tuttuno con il gioco in campo, tanto che non c’è domenica in cui frange di tifosi, sempre più numerose, non si distinguano. I buu, che richiamano i versi della scimmia, rivolti al calciatore dell’Inter Lukaku e del Brescia Balotelli, sono solo la spia di una piaga profonda diffusa tra gli italiani. Ai i versi della scimmia, fanno seguito «negro di m…» e l’espressione assai cara a tante tifoserie «ebreo di m…» Non manca a completare il quadro, l’intonazione «forni, forni»…

Il Palazzo al palo
A fronte di una Federcalcio inerme, che poco o nulla fa per arginare questo fenomeno, rendendosi indirettamente complice di una destra antisemita e xenofoba, che delle curve negli stadi ormai ha fatto terreno di conquista politica, nel piccolo qualcosa si muove. Il Palazzo del calcio nostrano è additato in tutta Europa per non contrastare in maniera decisa l’antisemitismo e il razzismo negli stadi italiani. D’altronde che cosa ci aspettiamo da una federazione che ha avuto come presidente Carlo Tavecchio, il quale qualche anno fa si espresse pubblicamente con frasi come «Optì Opbà è venuto qua che prima mangiava le banane e adesso gioca nella Lazio» a seguito delle quali fu sanzionato dall’Uefa per frasi razziste e sospeso per sei mesi dalla partecipazione alle riunioni europee ufficiali?

Se ai vertici del calcio italiano tutto è fermo, due giornalisti Massimiliano Castellani di Avvenire e Adam Smulevich dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, hanno raccolto in un libro Un calcio al razzismo. 20 lezioni contro l’odio ( Giuntina, euro 10) una serie di ritratti di calciatori e allenatori italiani ed europei che a seguito delle leggi razziali del ‘38, messe in atto dal fascismo e in Germania dal regime hitleriano, finirono nei lager. Sostengono una tesi forte i due autori: dai campi di concentramento alla politica dell’odio e del razzismo di oggi c’è un filo comune. Ieri Mussolini e Hitler, oggi Salvini, Orban, Le Pen e i tanti capetti delle formazioni neonaziste che scorazzano in Europa e negli stadi del Vecchio Continente.

La scuola danubiana
Ci ricordano i due autori, gli ebrei campioni appartenenti alla scuola danubiana dell’asse calcistico Vienna-Budapest, che negli anni Trenta dominò il calcio europeo. Non mancano i campioni
della Hakoah, squadra ebraica per la quale tifava Franz Kafka, che conquistò lo scudetto nel campionato austriaco 1924-25, tra i quali spiccava Otto Fisher, chiamato dal presidente del Napoli Giorgio Ascarelli, anch’egli ebreo, ad allenare e alleggerire la squadra partenopea dal complesso calcistico delle compagini del Nord. Fisher non sfuggì al plotone di esecuzione tedesco. Anche Bela Guttmann, fu catturato e deportato in un campo di prigionia, ma riuscì a fuggire prima di essere deportato ad Aushwitz e a imbarcarsi rocambolescamente a Marsiglia per gli Stati Uniti, dove giocò a calcio e face ritorno in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra allenò il Milan e poi il Benfica di Eusebio.

Il Grande Torino
Al suo fianco ci fu un altro asso della scuola danubiana, Erno Egri Erbstein, che sfuggito alla ferocia nazifascista, nel dopoguerra allenò il Grande Torino, plasmò Mazzola e Loik provenienti dal Venezia, Grezar dalla Triestina e Gabetto rifiutato dalla Juventus. Sotto la sua guida divennero l’asse portante del Grande Torino, Erbstein morì con tutti i giocatori granata nella tragedia di Superga il 4 maggio del 1949.

Nella carrellata di campioni, non manca la storia di Matthias Sindelar, detto “carta velina” per il tocco morbido, forte centravanti della nazionale austriaca. Dopo l’Anschluss del ‘38, l’annessione dell’Austria alla Germania da parte di Hitler, al Prater di Vienna si disputò una partita propagandistica tra Austria e Germania. Sindelar conviveva con l’italiana Camilla Castagnola, ebrea, quel 3 aprile del 1938 fu autore del secondo gol che siglò la vittoria dell’Austria sulla Germania per 2 a 1, si rifiutò di passare sotto la tribuna e fare il saluto nazista ai gerarchi delle SS. Troppo per il ribelle Sindelar, che pochi giorni dopo quell’affronto fu trovato morto insieme a Camilla nel suo appartamento di Vienna.
Non sfuggirono alle leggi razziali neanche i presidenti delle squadre di calcio come Renato Sacerdoti della Roma e l’astigiano Raffaele Jaffe del Casale Monferrato, che sotto la sua presidenza conquistò uno scudetto.

Il razzismo oggi
Dall’antisemitismo di ieri a quello di oggi. Il caso dell’ebreo Ronny Rosenthal, il più forte calciatore israeliano, acquistato nel 1989 dall’Udinese, non ha potuto giocare nella squadra friulana per i sentimenti antisemiti manifestati dalle frange del tifo friulano. Sui muri di Udine comparvero le scritte «Rosenthal vai al forno» e ancora «Rosenthal giudeo»  accompagnate dalle svastiche. L’Udinese se ne liberò poco prima di presentarlo alla stampa e Rosenthal prese la via di Liverpool e poi giocò nel Tottenham, la squadra ebraica per eccellenza.

Negli anni ‘90 in Italia si passò in fretta dall’antisemitismo verso Rosenthal al razzismo verso il campione del Parma e della Juventus Liliam Thuram, francese nato a Guadalupe e colonna della nazionale transalpina, in prima linea nella lotta al razzismo. Oggi i bersagli dei cori antisemiti e razzisti negli stadi, sono l’oltraggio alla memoria di Anna Frank, i cori razzisti diretti a Romelu Lukaku, a Kalidou Koulibaly e a Mario Balotelli, riflesso di una cultura ben diffusa nella società italiana, che colpisce soprattutto anonimi ebrei e cittadini di colore, i quali non sono neppure protagonisti della domenica del pallone. Il libro è stato scritto per i ragazzi, le prime vittime dei simboli neonazisti negli stadi, e sarà presentato dagli autori al Liceo Parini di Milano il 27 gennaio, Giornata della Memoria.