È – almeno per ora – un asse di ferro quello tra la Russia di Vladimir Putin e la Bielorussia di Alexander Lukashenko. L’incontro di ieri a Soci tra i due presidenti slavi ha rinsaldato un’alleanza che negli ultimi anni era sembrata vacillare. Un matrimonio che sembra più di necessità che d’amore. Putin con le presidenziali bielorusse del 9 agosto avrebbe voluto sbarazzarsi dell’ingombrante “Paparino” ma poi la pressione occidentale e il caso Navalny, gli hanno fatto cambiare idea.

LUKASHENKO si trova in una situazione, se possibile, anche peggiore dopo 37 giorni di manifestazioni in tutto il paese che lo hanno messo alle corde e un’economia sull’orlo del crollo. E infatti al di là del richiamo all’unità dei due «popoli fratelli» sono stati i temi economici soprattutto al centro dell’incontro.

Mosca ha messo sul piatto 1,5 miliardi di dollari di prestiti (di fatto a fondo perduto) e ha garantito di poter tornare a fare prezzi sussidiati a Minsk su gas e petrolio soprattutto grazie alla leva dell’azzeramento dei dazi d’esportazione.

Misure modeste che potrebbero non bastare a tenere in piedi la traballante situazione finanziaria bielorussa. Secondo gli esperti il miliardo e mezzo servirà giusto a coprire la falla dei fondi immessi sul mercato per bloccare la caduta del rublo bielorusso nell’ultimo mese. Ad agosto i cittadini bielorussi hanno prelevato dalle banche circa 1 miliardo di dollari e 704,6 milioni di rubli bielorussi da depositi a termine. In questo contesto l’11 settembre scorso Standard & Poor ha rivisto la valutazione per i rating sovrani a lungo termine della Bielorussia sulle passività in valuta estera e nazionale da «stabile» a «negativo».

 

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UN CAPITOLO DELL’INCONTRO è stato dedicato alle questioni militari. Annunciando per i prossimi giorni delle esercitazioni congiunte ai confini con la Lituania dei due eserciti (la Serbia a seguito delle violenze durante manifestazioni in Bielorussia e delle sue nuove direttrici di politica estera ha declinato l’invito) e il presidente bielorusso ha perfino fatto un richiamo alla seconda guerra mondiale («dobbiamo restare all’erta per non farci trovare impreparati come nel 1941»).

PUTIN È ARRIVATO un pochettino più rinfrancato all’incontro in seguito alle mancate proteste che temeva dopo le elezioni amministrative in 57 entità locali del paese. I suoi candidati di Russia unita non hanno lasciato scampo alle variegate opposizioni aggiudicandosi tutte le cariche a governatore e sindaco spesso con percentuali tra l’80 e il 90% delle preferenze.

Elezioni la cui regolarità è stata contestata dalla piattaforma Golos che ha registrato oltre tremila irregolarità nei tre giorni di votazioni e dal Partito comunista che ha denunciato frodi massicce soprattutto a Tomsk e nella regione di Irkutsk.

Qui i comunisti ritenevano di avere chance di vincere e tutti i sondaggi davano il loro candidato sicuramente eletto a governatore. Ma le cose sono andate altrimenti: anche grazie a una lista-spoiler (Partito comunista dell’Urss) Igor Kobzev, il candidato putiniano ha conquistato il 60,7% dei voti contro solo il 26,1% del candidato comunista, nato e cresciuto in loco. Stessa musica un po’ dappertutto, all’opposizione sono state lasciate solo briciole.

I COMUNISTI CONQUISTANO qualche decina di consiglieri comunali e a Tomsk e Novosibirsk siederanno anche dei rappresentanti del partito di Navalny ma il quadro complessivo è un monocolore di Russia unita. Perfino nella repubblica Komi dove da anni è attivo un grande movimento contro la discarica della spazzatura moscovita. Qui affluenza non oltre il 30% ma Russia unita si prende oltre al governatore anche 14 dei 15 membri del parlamentino repubblicano.

Un quadro che ha fatto dire in modo sconsolato al leader del Fronte della sinistra Sergey Udalzov: «In Russia ormai le elezioni sono solo un simulacro».