Non è difficile capire, considerando le rivalità calcistiche, perché molti brasiliani simpatizzassero per la Germania, immaginandola alzare la coppa al cielo nella finale contro l’Argentina. Dopo la perplessitá causata dalla choccante sconfitta del Brasile, per 7 a 1 in semifinale, era logico aspettarsi che una vittoria tedesca avrebbe placato la tristezza e razionalizzato una sconfitta «contro i migliori». Fin qui, niente di troppo straordinario, soprattutto essendo l’Argentina la squadra rivale in finale. La rivalitá calcistica tra Brasile e Argentina, è infatti una costruzione che getta le sue radici molto lontano nel tempo e che giustifica oggi questa simpatia brasiliana per i tedeschi. Ma questa costruzione non é libera o scherzosamente innocente.

In un breve articolo pubblicato negli anni Ottanta, l’antropologo Roberto da Matta ricorda, con la vicinanza di chi ha vissuto l’esperienza, il modo con cui le élite brasiliane assimilarono le sconfitte contro l’Argentina negli anni Quaranta e successivamente il Maracanaço subito dall’Uruguay nel 1950. La «mancanza di disciplina«, la «disorganizzazione» e «l’assenza di concentrazione» erano alcune delle parole utilizzate quotidianamente alla radio come critica al nuovo Brasile, negro e mulatto, che stava emergendo dalle ceneri del vargassismo. La superiorità era dei bianchi di Buenos Aires e Montevideo. Il risultato calcistico era dunque una apparente metafora di una società Qui stiamo parlando di quelli che l’antropologo francese Christian Bromberger chiama «orizzonti rituali» impliciti in ogni evento calcistico e della capacità di quest’ultimo di estendere la propria traiettoria simbolica ad altri ambiti. In questo caso al come la nazione era immaginata dalle élite.

L’atavica stupidità degli stranieri

Oggi, cinquant’anni dopo, in coincidenza con l’ultima Coppa del mondo, molte aziende hanno prodotto pubblicità telesivisive marcate dallo sciovinismo, in particolar contro argentini, italiani, spagnoli e portoghesi. La forza del nuovo «Brasile-potenza» e la decadenza economica di questi paesi, ha rafforzato molti stereotipi: la malandragem giocosa dei brasiliani opposta alla atavica stupidità degli stranieri in questione. E molto raramente queste burle sono state rivolte a culture anglosassoni. Attraverso narrazioni giornalistiche che non si propongono di fornire interpretazioni – ma solo verità – la Globo, media egemonico e per molti aspetti il “proprietario” della seleção brasiliana, da molti anni lavora per ribadire la superiorità brasiliana nel calcio internazionale. Gli argentini, il termine di comparazione per eccellenza, sono generalmente sinonimo di «catenaccio» e di simulazione contro la «autenticità» del calcio brasiliano, generalmente concentrata nella potenzialità di essere «hexa-campião».
Ma con l’impensabile sconfitta contro la Germania sembra verificarsi una comune dinamica della guerra, quella appropriazione simbolica delle caratteristiche del vincitore da parte dei vinti. Sembra quasi che tutto si inverta e dal 2014 si ritorni indietro nel tempo, all’epoca del Maracanaço. Davanti al fatto che il calcio tedesco risulta più creativo e elegante, il Brasile deve, almeno secondo il “discorso sportivo” proposto dai media, assumere i valori della società del vincitore.

Dopo la sconfitta, il «non abbiamo nulla da nascondere« motto della nuova nazionale brasiliana, è subito sostituito da parole come «assenza di organizzazione» e «ingenuità». I tedeschi diventano quindi un nuovo esempio di comportamento. Non sono corrotti come i brasiliani, aiutano con donazioni scuole povere, donano soldi e infrastrutture, si schierano contro l’omofobia. Queste notizie sono generalmente veicolate da Globo e dai social network. Notizie che, generalmente ingigantite e in molti casi prive di fondamento giornalistico, rimangono praticamente sconosciute all’estero o in Europa. E in Brasile, di conseguenza, le politiche economiche tedesche, per vari aspetti responsabili del declino economico di molti paesi europei, cadono in secondo piano. Si afferma l’idea di una Germania trasparente e onesta, contrapposta alle dinamiche politico-economiche brasiliane, dove tutto è descritto come corrotto e disorganizzato.

Si afferma dunque quell’idea che già il famoso economista e filosofo Cornelius Castoriadis ha teorizzato negli anni Settanta, che descrive una economia vigorosa e una organizzazione «funzionale» come le forze più rilevanti per influenzare l’immaginazione e l’operato di un popolo.

Un’immagine etica e gloriosa

Il timore di una recessione economica e le incertezza legate alle prossime elezioni presidenziali creano dunque le fondamenta per questa glorificazione del «modello tedesco». E tutti i discorsi che si ascoltano sembrano andare in questa direzione: verso una società che utilizza i media strategicamente, che dona risorse alle minoranze e che supporta le cause degli oppressi. Ma che, dall’altro lato, utilizza questa immagine vincente per rilanciare la propria economia, creando così nuove diseguaglianze a livello internazionale.

Questa sembra essere una interpretazione di questa campagna che i media stanno diffondendo e che sta avendo un notevole effetto nei piccoli dibattiti quotidiani tra la gente. Dibattiti riguardanti il come deve essere il Brasile, nei prossimi quattro anni di mandato elettorale e nel futuro. Contro il senso comune che le élite economiche brasiliane vogliono imporre alla Coppa del mondo, non è il risultato calcistico che è riflesso di una società, ma è la forma con cui questo risultato è interpretato che ci parla di lei.

* Matias Godio: antropologo e documentarista, Universidade Nacional Tres de Fevereiro di Buenos Aires;
* Alex Vailati: antropologo e documentarista, Universidade Federal de Santa Catarina a Florianopolis.