Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare della «particella di Dio», alias «bosone di Higgs» – o semplicemente «Higgs» per gli amici. Da quando a luglio dell’anno scorso il più grande acceleratore di particelle del mondo, il Cern di Ginevra, ne ha annunciato la scoperta in diretta mondiale, il bosone non fa che occupare pagine e pagine dei giornali di tutto l’orbe terracqueo. E dire che definirlo «sfuggente» è poco: ci sono voluti quasi cinquanta anni, un acceleratore costato dieci miliardi di dollari e migliaia di scienziati di tutto il mondo per poterlo trovare. Ma tant’è, l’amico bosone è uno dei pochissimi privilegiati personaggi dell’ostico mondo della fisica teorica che gode di una popolarità che a stento i buchi neri di Stephen Hawking erano riusciti a raggiungere. E come i buchi neri dello straordinario fisico inglese, il bosone di Higgs condivide la pressoché totale incomprensibilità ai più e la altrettanto pervasiva presenza mediatica.

L’unica ragione per cui Peter Higgs, l’82enne fisico scozzese che ne teorizzò l’esistenza nel 1964, non è ancora comparso in qualche puntata dei Simpson come Hawking è solo perché, al contrario del fisico colpito da sclerosi laterale amiotrofica, il timido Higgs non ama il palcoscenico. Eppure non esiste forse esempio migliore di come persino un concetto completamente contro-intuitivo come quello di una particella fondamentale alla quale è associato un campo di forze grazie all’interazione del quale,all’inizio dell’universo, le altre particelle acquisirono una massa, può affascinare anche il più ignaro di noi. O almeno affascinare abbastanza i capi redattori dei giornali perché per una volta la scienza finisca in prima pagina – e non per i vari Di Bella o Vannoni di turno.

Tanto è così che nell’assegnazione del premio Nobel di ieri si sono verificate ben due circostanze inedite e sorprendenti per un’istituzione così tradizionalmente conservatrice come la Reale accademia delle scienze svedese. La prima è che, come mai accaduto nella storia del premio istituito da Alfred Nobel più di cent’anni fa, tutti sapevano che il premio Nobel per la fisica quest’anno toccava proprio all’Higgs. Alla faccia degli scienziati che sostengono che la ricerca si fa solo nei laboratori e che non conta l’impatto – vero o presunto – sulla società.
Quello che restava da capire – dato che per le regole imposte da Nobel non si può attribuire il premio a più di tre persone – era, a parte Higgs, a chi sarebbe andato il riconoscimento. La scelta è stata la più conservatrice, ma probabilmente la più corretta: premio ex aequo a Peter Higgs e al belga François Englert, che fu il secondo a teorizzare l’esistenza della particella elementare nell’ambito del modello teorico chiamato, con la proverbiale originalità dei fisici teorici, modello Standard.

L’altra opzione sarebbe stata quella di premiare anche altri, come l’inglese Tom Kibble, che pochi anni dopo l’introduzione dell’ipotetica particella che ancora non portava il nome dell’oggi premio Nobel, definì con precisione il meccanismo attraverso il quale questa particella interagirebbe con le altre. Oppure quella che avrebbe premiato indirettamente l’Italia: il terzo nome sarebbe potuto essere quello del Cern – anche se finora un’istituzione non è mai stata premiata con un Nobel in fisica. Al Cern lavorano centinaia di fisici italiani, fra cui l’italiana Fabiola Gianotti (intervistata su queste pagine l’estate scorsa) che è a capo di uno dei due esperimenti che ha reso possibile incastrare la sfuggente particella. Non che lei se lo aspettasse, ma certo Gianotti aveva una folta schiera di fan che speravano ricevesse l’ambito premio, se non altro per il suo impegno come scienziata e come role model.

Al contrario che il 4 luglio 2012, quando il mondo intero vide l’anziano fisico con le lacrime agli occhi, con tanto di standing ovation nell’aula magna del Cern di Ginevra all’annuncio della conferma della scoperta dello schivo bosone, ieri Higgs – prevedendo l’inevitabile – si è dileguato lasciando detto ad amici e parenti che non ce l’avrebbe fatta a sopportare tanta attenzione mediatica. Possiamo solo immaginare quello che deve aver provato – e qui arriva la seconda inedita stranezza della giornata – quando da Stoccolma è arrivata la notizia che l’annuncio dei nomi dei premiati ritardava di un’ora. Ancora una volta l’ambito riconoscimento gli arrivava in ritardo, come la conferma che la sua ipotesi teorica era giusta. La Fondazione Nobel ha solo fatto sapere che la discussione si stava dilungando, senza scendere in dettagli, confermando che la decisione definitiva è presa davvero (a maggioranza) all’ultimo minuto. Probabilmente non sapremo mai su cosa o chi si sono accapigliati gli scienziati svedesi.

Ma una cosa è certa: dopo Higgs, difficilmente la fisica tornerà a essere tanto trendy.