La notte è buia nelle Marche: la destra di Francesco Acquaroli ha trionfato alle elezioni regionali in maniera netta (12 i punti di vantaggio su Maurizio Mangialardi del Pd: 49,1% a 37,2%). Per il centrosinistra comincia così una cavalcata nel deserto inedita, con una classe dirigente abituata a stare in amministrazione che si troverà ad avere a che fare con le trincee dell’opposizione. Una sfida non facile né scontata. Malgrado tutto, i segnali però non sono solo negativi: il Pd è riuscito a mantenere il primato come lista in regione con il 25,1% dei consensi, staccando sia la Lega (22,3%) sia Fratelli d’Italia (18,6%). Matteo Terrani, classe 1988, è il segretario provinciale della federazione di Ascoli, zona nera per eccellenza, dove però la lista del Pd è arrivata lo stesso prima.

Cominciamo dalla fine. Perché Mangialardi ha perso?

Guardando ai dati di tutte le regioni dobbiamo dire che tutti i presidenti uscenti e ricandidati hanno vinto. Forse perché durante il Covid si sono dimostrati una guida attendibile a cui dare fiducia.

E nelle Marche perché il Pd ha cambiato cavallo, abbandonando Luca Cerisicioli dopo un mandato e scegliendo Mangialardi come candidato?

Qui le divisione interne hanno portato a questo risultato. Comunque, penso che Mangialardi sia stato un valido candidato, si è speso bene e ha recuperato non poco rispetto al gap che si configurava. D’altra parte la situazione non ha cominciato a mettersi male soltanto negli ultimi tempi.

In che senso?

Alle politiche del 2018 e alle europee del 2019 il gap tra il centrosinistra e la destra è stato maggiore rispetto a quello delle regionali. Se andiamo a guardare più a fondo nell’analisi della sconfitta, dobbiamo guardare ai dati in maniera laica. Così scopriamo che già nel 2015, quando vincemmo, il nostro numero di voti è stato inferiore a quello preso da Mangialardi. Nel 2010 siamo andati oltre il 50%, con un terzo in più dei voti raccolti 5 anni dopo. Nelle Marche c’è un sistema socioeconomico che è entrato in crisi, e avremmo dovuto capire che si stava rompendo un blocco sociale. Paradossalmente, abbiamo recuperato elettori, ma dall’altra parte diverse forze prima divise si sono messe insieme, hanno capitalizzato il malcontento e vinto.

Cosa succederà adesso nel Pd marchigiano?

C’è stata una distanza troppo ampia tra il risultato del Pd e quello delle altre liste. La destra si regge su due gambe, due partiti che vengono visti come credibili dall’elettorato. Dalla nostra parte, il Pd è sì il perno della colazione, ma non basta. L’alleanza di governo dovrebbe trasformarsi in un’alleanza politica in modo che sui territori si costruiscano le premesse per una stagione nuova.

Però qui sono anni che nel Pd la classe dirigente fa tutto da sola, pensando più ai propri equilibri interni che a quello che succede fuori.

È vero. Le divisioni ci hanno certamente danneggiato: invece di andare a cercare i motivi dello sfilacciamento sociale delle Marche, abbiamo passato troppo tempo a cullarci nelle nostre presunte certezze e nella nostra presunta forza.

Il Pd nelle Marche ha sempre governato e non ha mai fatto opposizione.

Abbiamo eletto un gruppo consiliare di persone molto navigate, diciamo. Tutti conoscono la macchina regionale e mi pare abbiano le carte in regola per fare una buona opposizione. Bisognerà attaccare e nel frattempo recuperare sintonia con le esigenze delle persone. Dall’altra parte abbiamo una destra che gestirà i miliardi in arrivo dalla Ue, malgrado i suoi leader nazionali abbiano fatto una dura guerra contro il Mes. È una nota amara, ma vedremo se saranno in grado di gestire il tutto. Ci opporremo all’importazione di un modello sanitario lombardo o umbro, dove ogni cosa viene gestita da un manipolo di dirigenti inviati dal Veneto.