È uscito in libreria Ricordi di Animali (Mursia, pp. 246, 16 euro) di Roberto Marchesini, autore che, nella sua ventennale ricerca ha più volte sondato, attraverso la forma saggistica e narrativa, il problematico rapporto con le altre specie. La tradizione degli animali quali protagonisti o fugaci apparizioni nella letteratura, ripercorre l’intera storia occidentale segnando una contiguità, quella tra uomo e bestia, che rappresenta un elemento imprescindibile di ogni cultura. Gli animali, infatti, quali presenze carnali, icone, contenuti archetipici interiorizzati o nell’astrazione allegorica e metaforica sono sempre stati compagni prediletti dell’uomo (Lévi-Strauss lì avrebbe definiti come temi «buoni da pensare»), elementi a cui affidare auspici, destinare linguaggi, o, nella loro carnalità, soggetti da sfruttare o su cui riversare affettività, sopperendo a solitudini e manchevolezze, in quella dialettica mai data a concludersi tra allontanamento/riavvicinamento che costituisce il nucleo pulsante della nostra relazione con gli altri esseri viventi.

Nel saggio Post-human (Bollati Boringhieri, 2002) Marchesini aveva parlato di una teriosfera, dimensione ispirativa capace di portare l’essere umano a intraprendere quei percorsi di decentramento che stanno alla base della cultura. L’animale come epifania, che sta al centro del pensiero di Marchesini, indica che, prima ancora di essere maestri, le altre specie hanno mostrato all’uomo uno spazio esistenziale possibile. Gli uccelli, per esempio, ci avrebbero mostrato non la tecnica del volo, ma la possibilità di volare. In Ricordi di Animali Marchesini sottolinea l’importanza biografica della relazione con gli animali, un modello narrativo che sta diventando un vero e proprio genere letterario e che ha visto impegnati autori come Anna Maria Ortese, Paolo Volponi, Edmondo Berselli e Dacia Maraini. In tutti questi autori, è evidente il ruolo di rivelazione dell’alterità animale, rappresentando quell’altro-da-sé capace di fornire un contraltare tramite cui pensare l’uomo e la sua «umanità».

La storia della letteratura costituisce, da questo punto di vista, una focale interprativa di primaria importanza per un’analisi del nostro rapporto con le altre specie. Fin dai primi lavori di narrativa di Marchesini, da Il dio Pan (1988) a Specchio animale (2003), si evince il bisogno di andare oltre quella visione proiettiva che caratterizza la tradizione dei racconti a interprete animale. Dalla favolistica di Esopo e di Fedro (Grecia del V secolo), passando ai racconti di La Fontaine fino ai personaggi psichedelici di Caroll descritti ne Alice nel paese delle meraviglie, gli animali sono stati il più delle volte escamotage proiettivi per raffigurare vizi e virtù tipicamente umane. Figure fortemente antropomofizzate, effimere ed evanescenti che emergono dallo sfondo solo per raccontare, in chiave metaforica, delle bassezze e delle magnificenze dell’uomo. Un bestiario poetico e simbolico – di cui Argo, il cane che aspetta il ritorno di Ulisse prima di lasciarsi morire e simbolo metonimico dell’estrema fedeltà, è rappresentazione emblematica – che è possibile ritrovare anche in tutta l’epopea disneyana e che, non raccontandoci nulla degli altri animali, ci parla attraverso un gioco di riflessi esclusivamente di noi.

Esiste poi un filone di racconti in cui gli animali vengono rappresentati nei loro corpi – che sia quello di Moby Dick o di Zanna Bianca – ma in chiave antropocentrica e reificatoria dove, in un rapporto di forza, l’uomo dimostra il suo dominio verso gli altri esseri viventi e la natura stessa. Appaiono però, disseminati qua e là nella letteratura, altre forme rappresentative del nostro rapporto con gli animali. L’aneddotica presente nel testi di Charles Darwin, di George Romanes e di Konrad Lorenz lasciano intravedere un primo esempio di una letteratura della relazione tra le specie. Tra le righe delle trattazioni scientifiche degli studiosi, si intrecciano rapporti intimi e personali con gli animali incontrati nei propri percorsi di ricerca, siano questi le Galapagos o un laghetto austriaco.

In una relazione «informale» e nutrita di idiosincrasie – qual è l’incontro autentico con l’altro-animale – c’è un primo elemento di allentamento di quella morsa antropocentrismo che contraddistingue la letteratura animale classica. A emergere è il bisogno di uno sguardo esterno, aiutati dalla presenza di un’altra specie per profilarsi con maggiore oggettività e mettere in mora le proprie certezze.

A partire dalla seconda metà del ’900, cresce poi l’interesse verso la vita di carne e sangue degli altri animali, e inizia così a prendere piede nella letteratura una serrata critica verso l’antropocentrismo e, nello specifico, verso la condizione che l’uomo riserva alle altre specie in tutti i contesti dello sfruttamento animale. Franz Kafka di Una lezione per l’accademia (Rizzoli), ad esempio, dipinge magistralmente Pietro il Rosso, scimmia strappata dalla foresta della Côte-d’Or dalla ditta Hagenbeck per esser portata ad Amburgo dove diviene fenomeno da baraccone, animale che fuma, beve e balla.

Ancora più tagliente è la denuncia del premio nobel sudafricano John Maxwell Coetzee che ne La vita degli animali (Adelphi), tramite il suo alter-ego, l’anziana scrittrice Elisabeth Costello, esplicita con fermezza che ciò che l’uomo sta perpetuando nei confronti degli animali è un vero e proprio olocausto. Nel forte paragone proposto da Coetzee e nella serrata critica che egli fa alla zootecnia moderna passiamo alla relazione così come la ritroviamo in quei testi che per antonomasia rivelano le connessioni intime della vita personale vissuta, nel nostro caso, assieme agli animali, le storie di vita. È ciò che troviamo ad esempio in La mia famiglia e altri animali (Adelphi) Geral Durrell dove i profumi estivi dell’isola di Corfù si mescolano alle avventure giovanili di un futuro zoologo dove gli animali intesi come soggetti singolari hanno il potere di indirizzare scelte e passioni. L’animale diventa testimone della dimensione privata e scrigno della memoria, connettivo della quotidianità familiare e leitmotiv di mitopoiesi domestiche.

È questo il filo conduttore di Ricordi di animali che consente a Roberto Marchesini di trasformare il gatto Fragolino o la maialina Giuditta in veri e propri eroi di avventure che, seppur casalinghe, non hanno nulla da invidiare alla tradizione epica. E la mantide – animale perfetto nel suo essere tanto bello quanto temibile, simbolo della contraddittorietà della natura stessa – diventa un’epifania nella storia dell’autore, una sorta di animale-totem, che sembra sottolineare il debito troppo spesso misconosciuto, che gli esseri umani hanno contratto nei confronti delle altre specie, presenze capaci di mettere a nudo la nostra «umanità».