Piersanti Mattarella fu assassinato il 6 gennaio 1980, giorno dell’Epifania, in via Libertà a Palermo, alle 12.45 circa. Uscito di casa, senza scorta, per andare a Messa con la famiglia, dopo essere salito su una Fiat 132, dove si erano accomodate la suocera, la moglie e la secondogenita di soli 18 anni, mentre il figlio maggiore si attardava a chiudere il cancello del garage, fu raggiunto da un killer sceso da una Fiat 127 guidata da un altro uomo, che lo colpì esplodendo più proiettili.

L’ARMA SI INCEPPÒ. Il sicario tornò indietro per recuperare dal complice un altro revolver e sparò un ultimo colpo. Piersanti Mattarella, raggiunto da sei proiettili, uno alla tempia, spirò poco dopo. Anche la moglie rimase ferita.
Piersanti Mattarella, classe 1935, avvocato, figlio di Bernardo, tra i fondatori della Democrazia cristiana, undici volte ministro, era stato eletto il 9 febbraio 1978 presidente della Regione siciliana anche con i voti del Partito comunista. Settanta voti su novanta. Moroteo, aveva ribaltato l’asse politico siciliano, operando per emarginare figure come Vito Ciancimino e spezzare i tradizionali legami tra la Dc e i clan mafiosi. Di particolare rilevanza fu la mancata promulgazione di una sanatoria sull’abusivismo edilizio.
Prima di Mattarella, il 9 marzo 1979 era stato assassinato il segretario palermitano della Dc Michele Reina, mentre il 30 aprile 1982 era stato colpito a morte il segretario del Pci siciliano Pio La Torre. Ambedue erano tra gli artefici di una nuova stagione nella politica siciliana. A occuparsi di tutte e tre le inchieste fu il procuratore aggiunto Giovanni Falcone. Tre delitti politici. Il processo, che si aprì a Palermo nell’aprile del 1992, vide alla sbarra come mandanti diversi boss di Cosa nostra, tra gli altri Totò Riina, Bernardo Provenzano e Pippo Calò. Come esecutori materiali dell’omicidio Mattarella vennero invece rinviati a giudizio i terroristi dei Nar Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini. Irma Mattarella, la moglie, aveva infatti riconosciuto Fioravanti.

LE DEPOSIZIONI accusatorie, nell’autunno del 1982, di Cristiano Fioravanti nei confronti del fratello e di Cavallini, confermate da altri terroristi di destra, avevano portato a imboccare la pista nera, delineando uno scenario decisamente inedito, quello dell’uso di killer neofascisti da parte della mafia nella logica di uno scambio di favori. Tra questi, il supporto di Cosa nostra all’evasione di Pierluigi Concutelli, il capo militare di Ordine nuovo, detenuto all’Ucciardone, in carcere dal febbraio 1977.
Irma Mattarella e Cristiano Fioravanti non vennero creduti e il 12 aprile 1995 Valerio Fioravanti e Cavallini vennero assolti, mentre furono condannati all’ergastolo i mandanti dell’omicidio.
Ma questa storia non è ancora finita. Si parla con insistenza della possibile riapertura delle indagini. A occuparsene, con una minuziosa ricerca, è ora Ombre Nere. Il delitto Mattarella tra Mafia, neofascisti e P2, di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Rizzoli, pp. 275, euro 18). Il libro scava in particolare riguardo al ritrovamento, il 15 ottobre 1982, in un covo di Terza posizione a Torino di due spezzoni di targhe rubate, prima dimenticate dalle indagini dell’epoca, poi scomparse nel nulla, i cui caratteri e numeri, con «stupefacente singolarità», riportavano alle targhe utilizzate dai killer di Mattarella per camuffare la 127. Il patto tra Mafia e terrorismo neofascista risulterebbe per questa via confermato.